Il Museo archeologico lametino nasce nell’estate del 1997 e dal 2010 ha sede nello storico complesso monumentale del San Domenico di Lamezia Terme. Il sito risale al Cinquecento, poi ricostruito dopo il devastante terremoto del 1638, come sede del convento dei padri domenicani. Fra il 1586 e il 1588 vi approfondì gli studi anche l’eminente filosofo nativo di Stilo, paese della Calabria jonica, Tommaso Campanella.
Le tre sale del Museo archeologico lametino
L’esposizione del Museo archeologico lametino si articola in tre sale che raccontano le fasi salienti della storia della Piana di Sant’Eufemia e, in generale, di tutta la Calabria, considerata la posizione strategica della odierna città di Lamezia Terme, sulla sponda tirrenica dell’Istmo di Marcellinara (anche Istmo di Catanzaro e Istmo dei due mari), che rappresenta, coi suoi poco più di trentacinque chilometri, il territorio più stretto d’Italia: la sala della Preistoria e Protostoria, quella dell’Età greca e romana e quella dedicata al Medioevo con una coda sino al termine del XVIII secolo.
La sala che apre il percorso conserva strumenti in pietra e reperti ceramici che coprono il lunghissimo arco temporale che va dal Paleolitico inferiore alla fine del Neolitico e all’Età del Bronzo. Di notevole interesse sono i cosiddetti choppers paleolitici – i più antichi, coi loro cinquecentomila anni, dell’intera regione –, una riproduzione della conosciuta sepoltura della Grotta del Romito di Papasidero e diversi frammenti di ossidiana, il vetro vulcanico che costituiva elemento principale dei commerci nel Mediterraneo durante il Neolitico.
La città magnogreca di Terina
La sezione classica, composta da due spazi collegati l’un l’altro, ci riporta ai floridi fasti di Terina, subcolonia magnogreca fondata sul territorio della Piana lametina dai Crotoniati intorno alla fine del VI secolo a.C., susseguentemente alla vittoria di Kroton nella guerra contro Sybaris (510 a.C.), l’altra potenza della Calabria settentrionale.
L’hydria di Cerzeto
Fra i reperti di Terina, brilla quello che è divenuto il simbolo del sito culturale di Lamezia Terme: l’hydria di Cerzeto, un vaso di pregevole fattura, destinato a contenere l’acqua e che faceva parte del corredo funebre di una sepoltura. Risalente a trecentottanta, trecentosettanta anni prima di Cristo, l’hydria è stata rinvenuta nel 1955 in contrada Cerzeto, una località collinare nei pressi del confine, definito dal torrente Zinnavo, fra Lamezia e Gizzeria.
Il manufatto è in ottimo stato di conservazione e presenta due scene di toilette: quella sul lato principale mostra la elegante e ricca di dettagli vestizione di una sposa – con tutta probabilità la persona per cui era stata disposta la onorata inumazione.
Il Medioevo della Piana di Sant’Eufemia
Nella sala posta a conclusione dell’itinerario museale, infine, trovano spazio i reperti di tre monumenti culturali e architettonici di Lamezia Terme: la Chiesa dei Santi quaranta martiri – situata all’interno del complesso termale della città –, la Abbazia benedettina di Santa Maria di Sant’Eufemia – costruita dal 1062 dai normanni guidati da Roberto il Guiscardo – e il Castello – anch’esso di edificazione normanna. Del maniero, in particolare, resta la parte posteriore (detta maschio) di un cannone di bombarda risalente al Quattrocento munito dei suoi proiettili, fra i quali se ne distinguono alcuni in pietra verde del Monte Reventino.
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Diretto dall’architetto Simona Bruni, il Museo archeologico lametino è oggi fra gli oltre cinquecento luoghi della cultura statali e afferisce alla Direzione regionale musei Calabria.
Foto Hydria di Cerzeto (IV sec. a.C.)
Antonio Pagliuso