Venti storie, una lunga genesi e tanti scenari e personaggi – che potrebbero essere sia i nostri avi sia i nostri contemporanei – condensati in un unico filo rosso che avvoltola e confeziona una favola chiaroscura dal sapore della tradizione. L’eremita di Sant’Anna è un itinerario netto nell’opera e nelle memorie di Achille Curcio che – grazie alla curatela di Milly Curcio e all’introduzione di Luigi Tassoni – trova nuova e accogliente casa presso l’editore Rubbettino.
L’eremita di Sant’Anna e gli altri invisibili in lotta con il loro destino
Nello scritto – pubblicato in prima edizione nell’84 – Curcio racconta gli invisibili, gli uomini ai margini, personaggi sani e degenerati, in lotta fra ragione e istinto e accomunati dai loro “destini precari e spietati”. Come l’eremita al centro del racconto che dà il titolo all’intera raccolta, un uomo piovuto da chissà quale cielo, allontanatosi dal mondo per dedicarsi alla preghiera in una chiesetta disadorna dedicata alla Madre della Vergine Maria.
Ma sono tanti i racconti affascinanti e talvolta venati ora di ironia ora di amarezza del libro di Achille Curcio: come quello con protagonista Cicco, un uomo così povero che la provvidenza gli fece dono di “un cervello così misero da non fargli capire mai il sapore della disgrazia che gli era toccata”, o quello di un uomo schiavo di una avarizia talmente esasperata da pretendere dalla cugina che utilizzasse “sempre lo stesso filo da ripulire” per cucinare i bracioloni oppure ancora la vicenda di una famiglia di nobili decaduti a cui, perduti titoli, averi, palazzi e terreni, era rimasto soltanto il “don”, e che risollevò le sue sorti con il ritrovamento di una lettera del 1860 in cui si svelava che una sedia di loro proprietà aveva sostenuto il peso nientemeno che di Giuseppe Garibaldi durante la sua risalita dalla Calabria verso Teano.
La Calabria protagonista delle storie di Achille Curcio
Il paesaggio rurale, all’apparenza immobile della Calabria, poi, gioca un ruolo fondamentale nel lavoro letterario di Achille Curcio. Le straducce costiere ornate dalle monumentali siepi di fichidindia, le pendenze e le salite tortuose, le colline che digradano a mare, le chiese e i conventi rimessi in piedi dopo i devastanti terremoti, i balconi fioriti, il basilico nella sua perenne lotta contro il solleone, i luoghi dell’anima, quelli in cui è possibile sentire dentro “tutta la gioia delle cose”. Ma nell’Eremita di Sant’Anna si incontrano e riaccendo i ricordi anche dei riti popolari, dell’atmosfera frizzante delle feste patronali, delle lucine che cuciono assieme le case, dei mastazzolari in piazza e lungo le strade in festa.
La leggenda d’autore del morzeddhu catanzarese
A chiudere il volume, la leggenda natalizia del morzeddhu (in italiano morzello, piatto simbolo della cucina catanzarese), collegata alla vicenda di una povera vedova che per sfamare i propri figli nella notte di Natale inventò questo pasto composto dalle interiora di vitello – cuore, milza, polmoni, stomaco – con la sapiente guida di un angelo cuoco di passaggio a Catanzaro ove la Madonna aveva appena dato alla luce il bambinello.
“Qui tutto muore, ma rinasce nel giorno che torna al sole della speranza; un sole che dà un volto sempre più nuovo agli uomini e alle cose, e il paese, che lasciasti, continua il lungo sonno di favola in un letto di nuvole, quando la notte dissolve la chiara immagine delle case.”
Nelle venti storie di cui si compone L’eremita di Sant’Anna si evincono i progressi di una scrittura stesa negli anni – i racconti sono stati scritti fra l’inizio degli anni settanta e l’inizio degli ottanta –, i cambi di registro di una scrittura mobile, viva, che si evolve col passare delle stagioni della vita. Storie che accompagnano l’esistenza o recuperate nei meandri della memoria, ché, al baluginio dell’ultima luce del giorno, si scopre che quello che si credeva abbandonato in realtà non si era mai perduto.
Antonio Pagliuso