Crescendo divenni una ragazzina timida e riservata, non manifestavo affetto verso di lui, forse percepivo la sua ostilità, ma non smisi di chiamarlo “papà” davanti a tutti. Lui arrossiva ma io non me ne accorgevo. Non ricordo esattamente che età avessi, quando mi rivolse le parole più crude che mai avrei potuto immaginare: “Milia, non chiamarmi papà”.
Una storia che è vita, tutta scritta addosso, con parole che rivestono di speranza i vuoti incolmabili di assenze. Una storia che fa riflettere, laddove nel riflettere si annida anche il riflesso, che è rifrazione di idee,
moltiplicazione di senso e bagliore di speranza. Una storia che penetra l’anima, come lame affilate che fendono e offendono sentimenti ed emozioni. Tutto questo è Non chiamarmi papà, il romanzo di Angela Sofia Lancella edito Laruffa.
Emilia sa amare anche chi le regala il nulla dell’esistenza. Intorno a lei tutto è effimero. Le radici sembrano
recise: un padre che non vuole essere chiamato papà e una madre che l’abbandona in tenera età. Un’infanzia provata dalla vita e privata di affetti genuini e sinceri. Il vuoto appare come un’ombra, misera compagna di viaggio, sempre pronta a ricordarle che la felicità risiede altrove. Un vuoto lacerante, che la ragazza riesce a riempire, giorno dopo giorno, con i pochi ricordi che il tempo non ha appassito, né il vento ha spazzato via. E la prosa incede poeticamente, mentre i versi lasciano spazio alla narrazione.
Le parole conducono, diventano strada e percorso di una vita che prende forma a fatica, tra vuoti incolmabili
e assenze, che sono “presenze altrove”. Parole potenti, capaci di scuotere l’anima. Parole per dimenticare e ricordare, morire e rinascere, mentre la tempesta devasta quel poco che resta. Emilia accarezza la morte nel volto delle persone care, combatte come un’amazzone contro la miseria più nera, che attanaglia la sua Calabria, sfruttata da potenti prepotenti.
Emilia è un’anima inquieta e infelice. Si muove in cerca di luce tra il chiaroscuro della quotidianità,
catturando attimi, tra mancanze e povertà materiali e spirituali. Vive il suo dramma anche tra le stanze del
manicomio, nella costante ricerca del riscatto della propria vita disperata.
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In Non chiamarmi papà, Angela Sofia Lancella racconta con sublime maestria. Conosce l’arte della scrittura. Sa narrare descrivendo, sa rivestire con cura anche le parti recondite dell’anima. Ci dona un libro che conquista; ci fornisce emozioni contrastanti; ci lascia attoniti nell’incedere incalzante della narrazione; ci offre un’opera di drammatica di struggente bellezza e ci lascia senza fiato.
Elisa Chiriano