Recensioni: “Terrarossa” di Gabriella Genisi

 

Terrarossa, l’ultimo romanzo di Gabriella Genisi edito da Sonzogno, è un giallo sociale che denuncia la piaga del caporalato attraverso la storia di una giovane imprenditrice agricola, sensibile all’ambiente e al sociale, e della sua misteriosa morte.

“Entrate, mi sono impiccata”, scritto in maiuscolo con un rossetto vermiglio. Sembra uno scherzo di cattivo gusto quello che si presenta agli occhi stanchi del vecchio guardiano dell’azienda agricola Terrarossa, una delle più grandi, prosperose e innovative di Bari e dell’intera Puglia. Non lo è affatto, uno scherzo. Suni Digioia, la titolare della tenuta, si è tolta la vita.

Si apre con questa scena Terrarossa, il nuovo giallo di Gabriella Genisi con protagonista la capricciosa e instancabile commissaria (ci adeguiamo alla forma femminile espressa tra le pagine del libro edito da Sonzogno) Lolita Lobosco.

La morte sulla quale si troverà a indagare la Lobosco – personificata di recente sul piccolo schermo da Luisa Ranieri –, vede come vittima una giovane imprenditrice agricola di ottima famiglia, da tre secoli a capo della tenuta Terrarossa. Una realtà modello gestita da Suni, donna colta, competente, al passo con le nuove tecnologie, sensibile all’ambiente e al sociale, in prima linea in difesa dei braccianti sfruttati, i nuovi schiavi venuti dall’Africa e dall’Europa dell’Est, “sempre occupata a salvare qualcuno o qualcosa”. È strano che una persona così attiva abbia deciso improvvisamente di togliersi la vita. Troppo rampante, troppi progetti in testa, troppo venerata dai suoi lavoratori.

Lolita Lobosco lo sa e per questo rinuncia alle sue meritate vacanze estive per buttarsi a capofitto nel caso. Così come vi si è tuffata già l’intera popolazione.

“Bari è una città che ama il pettegolezzo, senza cattiveria o secondo fine, è solo che a noi baresi ci piace parlare, parlare, parlare. Anche di cose che sarebbe meglio tacere.”

La faccenda, assai delicata, infatti ha scatenato il chiacchiericcio del popolo che si trova in mano il giallo d’estate perfetto: una giovane donna ammazzata, un misterioso intreccio amoroso, una serie di personaggi molto in vista legati all’affaire.

La vicenda al centro del romanzo si svolge infatti in una rovente Bari agostana, col turismo che impazza, le barche a vela a punteggiare l’azzurro del mare, le persone che si riversano sulle strade e al porto per combattere la calura e le massaie impegnate con la preparazione della salsa, un rito che, vivaddio!, nel Meridione resiste con tenacia dietro le luci sfavillanti del progresso e continua a unire epoche e generazioni, vetera et nova.

“Sebbene facesse la commedia per sottrarsi, Lolita non si sarebbe persa quell’appuntamento familiare per niente al mondo. […] vide chili e chili di pomodori maturi immersi in grandi mastelli di plastica celeste, colmi d’acqua fino all’orlo. Poco più in là, sotto una tettoia di cannicciato, altrettanti pomodori giacevano stesi su vecchie lenzuola di lino immacolato, in attesa di essere sciacquati.”

A quello che si presenterà presto come un delitto, si affianca la tormentata storia d’amore tra Lolita e Caruso, il suo compagno sempre più intrattabile e distante, ma per cui la commissaria nutre un sentimento viscerale come e più del primo giorno:

“Nel buio della stanza, Lolita avvampò al ricordo di quegli amplessi furiosi in cui Caruso si aggrappava a lei come un naufrago a una zattera”.

Un rapporto forte, graffiato però dalla scarsa costanza da ambo le parti e dalla ossessione della commissaria verso l’amato, che glielo “rubi” qualcun’altra. Terrore di perdere la persona amata che, sovente, porta a perderla realmente: 

“Ho cominciato a sentire una sensazione in petto, come un peso, una specie di presentimento.”

“Che genere di presentimento?”

“Ma che ne so, tipo che quei due si rivedranno, che cominceranno una relazione, che io resterò di nuovo sola”.

Tema centrale del nuovo lavoro di Gabriella Genisi è la piaga del caporalato – la scrittrice nel suo giallo sociale dà spazio anche a storie vere, come quella di Paola Clemente, la bracciante morta nel 2015 in un vigneto di Andria al termine di una massacrante giornata di lavoro sotto il sole – , collegato alle criticità di un territorio in cui gli imprenditori, abbandonati o non sufficientemente protetti dallo Stato, sono costretti a piegarsi al giogo delle agromafie alimentando un malcostume oramai radicato in talune realtà.

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Criticità di un territorio, ma anche di un mercato, ché se fino a tutto il Novecento il nemico era rappresentato dai latifondisti, nel Duemila l’antagonista imbattibile è la grande distribuzione che ha imposto prezzi indecenti per gli imprenditori agricoli e aperto voragini per lo sfruttamento di chi lo sfruttamento è costretto ad accettarlo: i migranti senza fissa dimora che per pochi euro, un tetto di lamiera e un pagliericcio su cui distendersi a fine giornata, tengono vivo quello che è un circolo vizioso apparentemente senza soluzione.

Antonio Pagliuso