Recensioni: “Quattro apocalissi” di Domenico D’Agostino

Un romanzo breve che attinge dal fantastico e dalla tradizione religiosa e popolare, ma coi piedi ben piantati sul piano dei tempi correnti. Quattro apocalissi è il titolo del nuovo libro di Domenico D’Agostino, fresco di stampa per Qed edizioni.

C’è un’antica credenza popolare dell’Italia del Sud che sostiene che nella notte dell’apparizione di Dio incarnato come Gesù di Nazareth gli animali acquisiscano il dono della parola per manifestare il proprio giudizio riguardo al comportamento dei loro padroni, con all’orizzonte – in caso di parere negativo – il rischio di maledizione e cattiva fortuna per la casa ove queste parole siano proferite. Pertanto, ogni notte fra il 5 e il 6 gennaio i contadini erano soliti fornire ai propri animali il doppio del cibo per far sì che questi non avessero ragioni di valutare negativamente il loro governo.

Oggi poco praticata se non già ricordata – pure al Sud, forziere in cui l’isolamento geografico e culturale per lunghi secoli ha preservato lingue e costumi, patrimonio nel nostro tempo sempre più minacciato dal crollo demografico, dall’invecchiamento, dallo spopolamento e, absit iniuria verbis, dalla urbanizzazione e quindi dalla mondializzazione –, la credenza popolaresca si riflette nelle pagine di Quattro apocalissi, il nuovo romanzo breve di Domenico D’Agostino appena apparso per Qed edizioni.

Una scrittura anacronistica e avanguardistica

Uscito nella collana kòsmos, dedicata a opere non allineate, che non rispondono al canone richiesto dalle sciape linee editoriali dei marchi affermati, Quattro apocalissi è distinto da una scrittura al contempo barocca, anacronistica e d’avanguardia, un esperimento di narrazione che attinge dalla storia della letteratura e dalla tradizione biblica. A cominciare dalla fine, dall’Apocalisse, libro conclusivo del Nuovo Testamento e dunque della Bibbia cristiana, l’apokàlypsis, la rivelazione, il disvelamento, la rinascita a seguito del disastro.

Lapocalisse del romanzo di Domenico D’Agostino

Siamo in una gelida notte di marzo dell’anno del Signore 1638, nella striscia di terra in cui “la Penisola italica si scopre nella sua massima ristrettezza”. Un uomo assiste a un fatto straordinario: si trova testimone di un lungo consesso organizzato dai suoi animali assieme ad altre bestie.

La data scelta dall’autore non è di certo casuale: nel marzo del 1638, e precisamente nei giorni del 27 e 28 marzo, domenica delle Palme, infatti, la Calabria fu sconquassata da tre terrificanti terremoti. Nella catastrofe, concentrata nella Calabria Centrale, dal Bacino del Savuto alle Serre calabre, perirono perlomeno diecimila persone. Una apocalisse.

E una imminente apocalisse è proprio l’oggetto della riunione indetta – dopo secoli di silenzio e, evidentemente, di attenta osservazione delle vicende umane – dagli animali con ordine del giorno il seguente: valutare l’opportunità di avvisare o meno gli esseri umani – i tracotanti padroni del pianeta, almeno così credono – della sciagura che si sta abbattendo su di tutti.

I quattro oratori dell’opera

Una volpe, una upupa, uno sciacallo e un pesce. Tramite le inedite voci di queste quattro creature, quattro disquisitori in rappresentanza delle “nobili bestie d’ogne regnanza de la Natura” – e che non possono che ricondurre ai quattro cavalieri dell’Apocalisse, emissari del castigo divino – il piccolo poema di Domenico D’Agostino denuncia le scelleratezze dell’uomo ai danni del Creato, nefandezze che inevitabilmente si ripercuotono sullo stesso uomo.

Avvertire gli uomini e tentare di agire tutti assieme, di nuovo uniti, per un fine e una fine comune? Oppure non metterli al corrente della ventura disgrazia, oramai insanabilmente inclini al Male e “lasciar che ‘l Corso de le cose avvenga sanza alcun interpolatione”?

“L’Apocalisse che pare prossima hoggi non ha a che fare con le umane cose, né con quelle delle bestie, ma bensì si prospetta a noi come vero e proprio cataclisma, e perciò, se attiene alle cose di Natura, dev’essere considerata come ’l braccio divino che si stende fino a coperire le nostre intere vite. E non per un capriccio di Dio, invero, essa va considerata, ma semmai come ’l Suo improrogabile rimedio.”

Un esperimento narrativo formativo

Come già detto, elemento distintivo di Quattro apocalissi è senza dubbio il linguaggio adottato dall’autore, una scrittura non convenzionale ed espressione di un esercizio narrativo in qualche maniera anche formativo in un’epoca in cui il linguaggio è così rabberciato, impoverito, livellato, financo meccanizzato, contaminando pure l’editoria e la prosa.

In conclusione, le pagine del testo di D’Agostino – erede di una consolidata letteratura apocalittica e in cui si intravvedono i riverberi di opere come La fattoria degli animali di Orwell, Horcynus Horca di D’Arrigo, La vita degli animali di Coetzee, e forse anche di romanzi di Bulgakov – schiudono spunti di riflessione su tematiche quali il vegetarianesimo, sia esso per convinzioni di natura etica, religiosa o ambientalistica, i mutamenti climatici e la negligenza degli uomini verso la Casa che li ospita, il loro sconsiderato sfruttamento degli animali e delle risorse naturali. Uomini dimentichi che “le fauci del più feroce dell’animali sono nulla al confronto de le fauci de la Terra”.

Antonio Pagliuso