Recensioni: “Il paradiso ritrovato” di Halldór Laxness

La profondità epifanica del romanzo Il paradiso ritrovato di Halldór Laxness, pubblicato nel 1960, e tradotto per la prima volta nel 2022 per Iperborea, scorre tra le pagine e aumenta man mano che la storia si avvicina alla fine, dove raggiunge la massima rivelazione.

Nella vicenda sono coniugati i miti e le tradizioni d’Islanda con la brama di novità e di cambiamento, soprattutto in chiave individualistica. Il protagonista è Steinar, un umile lavoratore che vive nelle campagne islandesi, strenuo difensore degli antichi valori e ancora convinto che, ad arricchire l’uomo, sia il sudore della fronte e non il denaro.

Quest’ultimo, infatti, viene rifuggito da Steinar che, all’inizio del romanzo, si rifiuta di vendere il suo prestigioso cavallo scegliendo, piuttosto, di regalarlo al re di Danimarca insieme a uno scrigno misterioso. Quando, però, si accorge che entrambi gli omaggi non ricevono gli onori che si sarebbe aspettato, subisce una prima enorme delusione e, di conseguenza, una lezione di vita: ormai è solo tra la sua gente. La sensazione di emarginazione e l’estraniamento lo spingono a lasciare la sua famiglia e a intraprendere un viaggio fin nello Utah, per unirsi a un gruppo di mormoni.

Laxness inserisce nel romanzo alcuni rimandi alle epopee mitiche più rappresentative del mondo islandese, coniugandovi così anche quanto di più radicato vi sia nelle sue origini. Tuttavia, oltre al rispetto per le radici – vista la rievocazione di personaggi fantastici e storicamente accertati della madrepatria –, Steinar nutre anche un certo desiderio di evasione. E proprio quando comprende che ormai non appartiene più a nessun posto e che il suo paradiso è perduto, parte senza voltarsi.

Non si volta per salutare il paesaggio né per un ripensamento. Tantomeno si volta verso la moglie e la figlia, che in sua assenza proveranno sulla loro pelle quanto possa essere difficile continuare la stessa vita di sempre senza il loro uomo a tutelarle.

Ne Il paradiso ritrovato è presente, anche se poco dettagliatamente, una particolare intenzione dell’autore nel soffermarsi sulla condizione femminile, sia nelle aree rurali sia nelle grandi città. Sia le donne della vita di Steinar che le sconosciute, che lui stesso incontra nel suo cammino, hanno delle storie dagli interessanti risvolti o dal destino beffardo. Anche se, per quanto riguarda la prospettiva sulla donna, la voce di Laxness non è poi così squillante, chi legge ne trae ugualmente spunti di riflessione validi. E poi, come il traduttore e curatore per Iperborea Alessandro Storti afferma, nel romanzo “l’uomo s’incanta dinanzi al mistero della femmina senza rendersi conto che gli apparirebbe assai meno misteriosa se lui, una buona volta, le permettesse di aprir la bocca”: dopo che dalla stessa voce dei personaggi femminili abbiamo appreso le loro storie e le vicissitudini, il commento di Halldór Laxness sopraggiunge di rado. Una volta presa parola, la donna è perfettamente in grado di dipingere un quadro esatto e preciso della sua condizione.

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Dunque, il paradiso e la serenità non sono perduti solo per Steinar: la sua decisione di partire porta con sé delle conseguenze irreparabili anche per chi lo circonda e vi è indissolubilmente legato. Ma il tormento del protagonista è ben più serio di così: non basta fuggire per poter stare meglio. Non se sei uno dei pochi detentori della rettitudine e della decenza.

Steinar dovrà fare i conti con le sue illusioni sull’America, che si costituisce come una chimera per eccellenza – e Laxness, premio Nobel per la Letteratura nel 1955, l’ha provato sulla sua pelle: molto, in questo romanzo, parla della vita privata dell’autore, in special modo il senso di disagio e, conseguentemente, la ricerca di un posto adatto a sé e ai suoi ideali. Per quanto questa sia complicata, rischiando di divenire eterna, il titolo del romanzo ne suggerisce l’esito positivo, la riconciliazione con quanto si credeva perso per sempre.

Camilla Elleboro