Recensioni: “Madri” di Marisa Fasanella

In Madri, il nuovo romanzo di Marisa Fasanella (edito Castelvecchi), è predominante il tema della maternità, un tema che si allaccia alle violenze consumate tra le sacre e mute mura domestiche, ché “nelle case abitano i mostri. Nelle case cresce la gramigna. Tu la estirpi e lei ricresce”. Storie di cuori scoordinati che si fondono in un’anima mediterranea, arcaica.

Un vecchio pescatore, cui piacerebbe morire sul suo peschereccio in mezzo al mare, quel mare che canta libero e non si abbassa al chiacchiericcio della strada, segue con lo sguardo una donna e pare che la stia aspettando; è una vedova o una femmina malamente, una reietta comunque, una di quelle che provengono da “uno di quei posti dove chiudono le donne che urlano per le strade e non si lavano e non si pettinano”, un angolo asettico in cui “non c’è notte e non c’è giorno e non c’è silenzio”.

Ospedale psichiatrico, frenocomio, manicomio, casa di cura dei malati di mente. Luoghi di camici bianchi, di smarrimenti, di mani sui corpi.

C’è una voce che ci conduce tra le fitte pagine di Madri, l’ultimo romanzo di Marisa Fasanella pubblicato da Castelvecchi. Questa voce appartiene a Lena, una donna dalla vita devastata, legata a una gatta grigia, custode della sua memoria, che, a ben guardarla, nel suo carattere evanescente e malioso, pare rida. Lena custodisce nel petto i racconti di un mondo sommerso, dimenticato; un piccolo altro mondo circoscritto dalle mura marce di un manicomio femminile – la casa delle magare –, al cui interno il tempo è scandito da urla, lacrime, sospiri. Sono dieci storie più una, la sua, quelle che la raccontatrice di storie illustra al pescatore, unico contatto tra la “pazza” e il mondo cosiddetto sano.

Le vite raccontate da Lena

Storie feroci, storie disperate, storie di abbandoni ed emarginazione, di folli per le quali non c’è compassione, in cui l’oggetto della violenza è proprio il corpo delle donne, “immortale perché depositario del potere generativo”, come sostenuto da Angelo Molica Franco sulle colonne de “Il Fatto Quotidiano”.

C’è Magda, madre che si sente uno scarto, inferiore alle bestie perché non riesce a nutrire il suo bambino. “Gli avrebbe dato latte di mucca, disse, gli animali erano migliori madri di me”, pensa Magda, l’aspirante suicida, la madre assassina.

C’è Piera, con l’inseparabile cappello a falde larghe, ultima vanità in un universo in cui si sente inadeguata e carne esposta alla mercé delle violenze altrui.

Poi Rosetta del vicolo storto, un posto in cui si cresce in fretta, in cui non si fa in tempo a essere bambine che si diventa già donne da offrire al miglior partito e da trasformare in madri, in modo che si possa dare senso a delle vite altrimenti inutili.

C’è Lucia, che non si è sposata nonostante fosse la più bella di tutte, una ragazza che in tempo di guerra ha perso l’amore, ma ha riacquistato la libertà.

E ancora Aziza, figlia del mare che la libertà invece la sogna tutte le notti sotto il cielo stellato, immenso, irraggiungibile; donna, bambina e schiava, una di quelle la cui morte, come la cui vita, non fa notizia.

“Il mare che ho attraversato era il più grande di tutti i mari, la notte guardavo le stelle, ma erano troppo in alto per piantarci i sogni.”

Storie di cuori scoordinati su un sfondo mediterraneo

In Madri, è predominante il tema della maternità, un tema che si allaccia alle violenze consumate tra le sacre e mute mura domestiche, ché “nelle case abitano i mostri. Nelle case cresce la gramigna. Tu la estirpi e lei ricresce”, ci avvisa l’autrice del romanzo. Le storie raccontate da Marisa Fasanella compongono un minestrone fatto di ferocia, meschinità famigliari e di paese, silenzi e retaggi culturali, lotte contro la malasorte e la miseria, racconti di figli sospirati e di gravidanze non volute. Storie di cuori scoordinati che si fondono in un’anima mediterranea, arcaica.

Una scrittura in grado di costruire un mondo

Dirompente è la capacità descrittiva di Marisa Fasanella, dei luoghi, degli oggetti, mai fine a se stessa, ma anzi, che si trasforma in colonna portante e importante grazie alle sue solidità e leggerezza poetiche. Una scrittura, quella dell’autrice nativa di Cassano all’Ionio – già vincitrice in carriera dei Premi letterari “Corrado Alvaro” e “Vincenzo Padula” –, che è elegante e maliarda allo stesso tempo e si scopre in grado di costruire un mondo, ché uno scrittore deve necessariamente avere dentro sé un mondo in cui realizzare, rendere reali le sue storie, spalancandone i cancelli.

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Sono molteplici i messaggi lanciati dalla Fasanella nel romanzo, tra i libri più belli del 2021: uno è di avere sempre cura della memoria, di non mortificarla o cancellarla, ché la memoria è libera, anche per gli emarginati, gli ultimi:

“La memoria si annida e cresce nelle rughe del cuore e per quanta polvere ci depositi trova la via per risuscitare”.

Antonio Pagliuso