Recensioni: “Riccardino” di Andrea Camilleri

Pubblicato a un anno dalla scomparsa dell’autore, Riccardino di Andrea Camilleri (edito Sellerio) è l’ultima avventura del commissario Montalbano, l’atto finale di una storia lunga più di venticinque anni

 

Ce lo aspettavamo. Prima o poi doveva capitare che si arrivasse alla resa dei conti tra autore e personaggio; Andrea Camilleri ce lo ha più volte suggerito nel corso degli ultimi anni, fedele ai dettami del suo padre artistico Luigi Pirandello, parente alla lontana che l’autore della fortunata saga di Montalbano ebbe la fortuna di conoscere in tenera età.

Una aspra battaglia in cui lo scrittore sentiva il bisogno di liberarsi della sua creatura, mentre questa lo richiamava all’ordine ogni volta, quasi costringendolo a scrivere nuove avventure.

Si è arrivato, di fatto, a un accordo: il commissario Salvo Montalbano ha continuato a risolvere casi, mentre Andrea Camilleri aveva già consegnato nelle stanze della casa editrice Sellerio l’ultima indagine del commissario più amato, il suo canto del cigno. Per volere dello stesso autore, Riccardino è stato pubblicato dopo la sua morte, precisamente a un anno esatto dalla scomparsa del maestro di Porto Empedocle.

La storia è ambientata agli inizi del Duemila – Camilleri la scrisse tra il 2004 e il 2005 – e, come tutti i romanzi della serie, è pienamente calata nell’epoca in cui è scritta.

Riccardino si apre con un Montalbano stanco, gli anni cominciano a pesargli sulle spalle, quando un mattino gli si presenta un nuovo caso: Riccardino Lopresti, il giovane direttore della filiale locale della Banca Regionale, viene ucciso con dei colpi di pistola al volto. Una vera e propria esecuzione cui assistono tre compagni con i quali la vittima condivideva lavoro, hobby e non solo.

Seppur quasi svogliato, con poca gana, il commissario si butta a capofitto nel caso, che a primo acchito pare da configurarsi nei consueti binari delle corna. Montalbano cercherà di non lasciarsi ingannare dalle apparenze e di non badare a un nuovo grattacapo, quelle persone che da un po’ di anni lo riconosco soltanto per i film di successo che si sono ispirati proprio a lui e alle indagini che ha risolto nel corso della sua brillante carriera.

“Ora tutti l’arraccanoscivano e sapivano chi era sulo in quanto pirsonaggio di tilevisioni. ‘No scassamento di cabasisi ‘nsupportabili.”

A scandire la trama del giallo – che quasi passa in secondo piano nel prosieguo della lettura – l’intrigante disputa, che si allungherà per tutto il romanzo, tra il personaggio letterario e quello televisivo; una lotta col doppio in cui si inserisce prepotentemente anche lo stesso autore costretto a redarguire il commissario, a confrontarsi con la sua creatura, allargando una crepa già esistente da tempo:

“Questa storia di Riccardino io la sto scrivendo mentre tu la stai vivendo, tutto qua”.

Il commissario Montalbano riuscirà a dirimere l’intricata coruna dei surci, ma il rapporto tra l’eroe di Vigàta e l’autore risulterà oramai irrimediabilmente compromesso: sarà necessario prendere una decisione, anche quella di chiudere un libro lungo più di venticinque anni.

Ciao, Montalbano (sono).

Antonio Pagliuso