Recensioni: “Lontananze e ritorni” di Raffaele Gaetano

Con la poesia Raffaele Gaetano è vivo e lo sancisce ufficialmente con la raccolta di liriche Lontananze e ritorni. Tutti gli altri luoghi sono di passaggio, la poesia no: la poesia è una vita in più.

Raffaele Gaetano è un insegnante, uno studioso, un cronista di estetica, coinvolto in prima persona nella diffusione e nella scrittura, come saggista soprattutto, ma comunque anche profondo conoscitore dei segreti di cui parla la lingua della poesia. Si tratta infatti per lui adesso di abitare la poesia come luogo, dal quale trasmettere l’utopia di una felicità a tratti possibile ‒ di sbieco e per brevi momenti si svela la poesia ‒, dove le tracce di un tempo distante vengono racchiuse in giardini in penombra e in estati sospese su pietre logore.

Il titolo emblematico di Lontananze e ritorni (in libreria per Libritalia Edizioni) custodisce infatti questa sua seconda raccolta lirica, impreziosita da una grafica personalizzata e un packaging di pregio, in una memoria che si manifesta in piccoli gesti, pochi versi in piccole strofe, dove l’aprirsi frammentario restituisce uno sguardo penetrante sulla realtà, che è comunque in perenne metamorfosi, attraverso inquadrature stabili, miniature di un’osservazione cosmica (“tutto scivola / in immani precipizi”). Come se avesse voluto assumere una disinvoltura stilistica in termini di profondità e chiarezza di scrittura.

D’altronde, di poesia si nutrono gli studiosi, per così dire, di prosa, per resistere al male complice del dispiego di senso, per un bisogno di estraneità, di affondare dentro un magico pleonasmo, un appello alla sventatezza e alle stelle distanti anni luce dalla lucidità, una follia, trasmessa a bassa voce, in cui vale la pena trovare tregua e riparo, al ritmo di un battito pazzo e sospinti da un soffio assoluto (“tutto si innalza / in volute di sogni / e sussurra il tuo nome”).

Con la poesia Raffaele Gaetano ci dice di essere vivo e lo decreta ufficialmente. Non che nelle sue precedenti opere non sia stato in grado di mostrare poesia, e può anche darsi che le si sia donato completamente, ma di certo non si è mai sentito completo, stavolta si tratta di avere a che fare con un esitare, per sottrazione, in un giorno di assoluta nudità davanti alle emozioni. Tutti gli altri luoghi sono di passaggio, la poesia no, è una vita in più, in impotenza, in assurdità.

Dunque una serie di corrispondenze tra sentimento e realtà, “tra giorno e sogno”, è andata svuotando la sua casa di sempre, e forse la sua è la confessione di chi sente improvvisamente il bisogno di divenire completamente inattuale, senza tempo, in quello che è un esercizio di libertà ma strenuamente fedele a sé stesso, per una peculiare tensione malinconica dell’esserci. Da qui lo stile sobrio della sua poesia, l’assenza di passaggi ardui, una sobrietà che testimonia una certa compostezza di riflessione lirica, disposta, per formazione, all’apertura di squarci speculativi, camuffandosi dietro una sequenza di metafore e similitudini.

Gli si dia dunque il benvenuto tra la poesia, all’appassionato ritrattista culturale che va arricchendo di curiosità il piccolo mondo intorno a lui, scrittore da anni non gli resta adesso che proteggersi da sé stesso, da una visione dell’io sempre in agguato, dall’espressione abbozzata del simbolo nel corpo di una parola, corpo amabile la poesia, nella stessa pelle di sempre.

Pasquale Allegro