Recensioni: “Non giudicarmi” di Anna Kanakis

Eccentrico, disilluso, depresso, ambizioso ma senza la grazia e il genio di Baudelaire o Apollinaire, vinto dalla vita; il barone e poeta Jacques d’Adelswärd-Fersen (1880-1923) è stato una delle personalità più in vista della Capri del primo quarto del Novecento.

A quasi cento anni dalla plateale scomparsa, l’attrice e autrice Anna Kanakis ne percorre la parabola in Non giudicarmi (edito Baldini+Castoldi), un romanzo breve ambientato dall’aurora al tramonto dell’ultimo giorno di vita di Jacques Fersen. Il giorno in cui la mente passa in rassegna l’intera esistenza, srotolata come un film: quello che si è fatto, quello che si poteva fare, quello che non si potrà fare più.

“Voglio che questo giorno sia il più lungo della mia vita.”

Fuggito dalla Parigi moralista che lo aveva messo al bando per la sua condotta scandalosa – fu pure incarcerato per sei mesi alla Santé – il barone Fersen trovò a Capri il suo rifugio. Un rifugio inaccessibile, ché il nobiluomo fece edificare la sua villa su un ciglione a picco sul mare, in una zona – non distante dalle rovine di Villa Jovis, la dimora costruita sull’isola azzurra all’inizio del I secolo per l’imperatore Tiberio – battuta dal grecale e all’ombra per la quasi totalità del giorno. Il posto ideale in cui nascondersi, cercare di farsi inghiottire dall’oblio.

Villa Lysis, tempio dedicato alla giovinezza e all’amore

Villa Lysis – con riferimento a Liside, il giovinetto protagonista del dialogo di Platone glorificante l’amicizia – è luogo d’isolamento e d’abbandono, il ritiro biancodorato in cui costruire il proprio mito o affondarlo. E il Fersen fa sia l’uno che l’altro quando la sera del 5 novembre 1923, nella saletta da fumo al pianterreno del suo “tempio bianco” sacro all’amore e al dolore, si toglie la vita, teatralmente, con una super dose di cocaina diluita nello champagne. Un barone muore, esce di scena a quarantatré anni. L’età giusta per vivere, l’età giusta per morire.

Morte che chiama

Tra le sale e il giardino di Villa Lysis, Jacques Fersen si nascose per quasi vent’anni ricorrendo al sostegno di qualcosa che lo aiutasse a sopravvivere a se stesso: l’“incanto dell’oppio” e la neige, la polvere di stelle dimenticata dal Creatore. L’anima appassisce, mentre d’ognintorno esplode il giardino lussureggiante di essenze d’ogni specie; e poi alloro, la pianta dei poeti, rose, azalee, ovviamente narcisi; e più in là, “sotto un cielo di piovra”, il mare bluastro con la sua voce sepolcrale, che è morte che chiama, che è morte che esige il supremo sacrificio.

L’amore e il dolore

Fanciulli strillanti, vestiti di stracci sia d’estate sia d’inverno, donne corpacciute con le anfore portate sul capo, uomini bruciati dal sole che tornano dalle vigne e dalla spiaggia. Sono questi i personaggi che sfiorano appena il poeta senza più ispirazione, che non riescono a invertire la rotta di un processo oramai innescato. Così come non ci riescono i due amori del Fersen: Nino e Manfredo.

Il primo il passato, fedele compagno immortalato da pittori e, con un bronzo un tempo collocato nel giardino della villa, dallo scultore calabrese Francesco Jerace; il secondo il presente, efebo dal volto angelico, “il figlio mai avuto”, talmente delicato e sensibile da ricevere l’appellativo di Piccolo fauno.

“Cosa ho fatto nella vita se non passare il tempo a nutrirmi del loro fiato?”

Il buio di Fersen esumato da Anna Kanakis

Tra le pagine di Non giudicarmi Anna Kanakis scende nelle profondità rimbombanti di un’anima tormentata, avviata verso un destino ineluttabile. L’autrice restituisce il quadro della Capri crepuscolare di inizio Novecento, isola di miseria che sopravvive e nobiltà che prova a nascondersi, spogliata oramai del suo potere. Un coriandolo nel mare giudicante e ipocrita, meraviglioso nel suo aspetto esteriore ma feroce tra le pareti aguzze del suo guscio, quello che non si mostra, quello che può distruggere.

Antonio Pagliuso