Si è da poco conclusa la 58^ stagione delle rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa curata dalla Fondazione INDA. Anche quest’anno una stagione di straordinaria qualità, che ha raccontato di passioni, di delitti, di vendette, di forza e fragilità; attraverso sceneggiature che sposano il passato e il presente, i testi reinterpretati in chiave moderna non hanno perso mai il “rispetto” dell’incanto del classico antico.
Migliaia di spettatori da tutto il mondo, fedelissimi cultori del dramma antico, giovani studenti e famiglie e, perché no?, anche curiosi, si sono lasciati incantare dalla magica cornice del Teatro Greco. Quattro sono stati gli spettacoli che, dall’11 maggio al 2 luglio, hanno preso vita sul palcoscenico dell’antico teatro della polis fondata nell’VIII secolo a.C., stupendo patrimonio dell’umanità. Tornati in scena due drammi che per la loro complessità e la loro attualità offrono importanti spunti di riflessione: Prometeo incatenato di Eschilo con la regia di Leo Muscato nella nuova traduzione di Roberto Vecchioni e Medea di Euripide per la regia di Federico Tiezzi nella traduzione di Massimo Fusillo. Poi, per la prima volta rappresentata sul sacro palco del teatro siracusano, il più antico di tutto l’Occidente, la commedia di Aristofane La Pace diretta da Daniele Salvo con la traduzione di Nicola Cadoni. Il quarto appuntamento è stato Ulisse, l’ultima Odissea, spettacolo ideato e diretto da Giuliano Peparini. Tre rappresentazioni del V secolo a.C. e una moderna che trae ispirazione dal poema di Omero.
Prometeo incatenato
Nella remota Scizia, Prometeo viene inchiodato a una roccia dal dio del fuoco, Efesto. Il titano viene punito da Zeus per avere donato agli uomini il fuoco. Un sovversivo, peccatore di hybris, un traditore agli occhi di Zeus, ma Prometeo incarna il padre, il difensore dei più deboli, colui che ha plasmato l’uomo con l’argilla e a cui ha regalato insieme al fuoco anche la sapienza. Egli racconta la sua storia alle Oceanine che accorrono al rumore assordante del martello di Efesto. È un dialogo tra dei, dove arriva in volo anche Oceano per cercare di indurre alla ragione Prometeo, ma senza successo. Prometeo incarna l’idea del libero arbitrio: ”Sapevo bene tutto ciò che mi sarebbe capitato, ma peccai perché lo volli”. Ecco, lui volle a tutti i costi salvare l’uomo dall’oblio. Irrompe sulla scena Io, la donna-giovenca, vittima anch’essa delle ire di Zeus prima e di Era poi. A Io, Prometeo svela il futuro fino alla tredicesima generazione che porterà alla fine di Zeus. Ermes prova a insinuarsi nella conversazione per sapere come avverrà la fine del padre degli dei ma ecco scagliarsi su Prometeo l’ira di Zeus che fa tremare la terra ma non Prometeo.
Medea
Il dramma si apre con l’introduzione della nutrice che racconta di come la discendente del Sole, Medea, abbandona la sua terra, la Colchide, per seguire Giasone. Dopo avere aiutato gli argonauti, tradendo la sua famiglia, a trovare il vello d’oro, Medea si unisce a Giasone e si reca a Corinto. A Corinto, dopo aver avuto due figli da Giasone, Medea viene ripudiata all’argonauta il quale intende sposare la figlia del re Creonte. Medea entra in scena raccontando la sua disperazione tra lacrime e urla. Sopraggiunge Creonte che le intima di lasciare la città, lei riesce a convincere il re a restare ancora un giorno, il tempo sufficiente a mettere in atto la sua atroce vendetta. Nel frattempo, chiede e ottiene asilo e aiuto dal re di Atene, Egeo. Niente può farla tornare sui suoi passi: manda con i figli doni avvelenati a Glauce, figlia di Creonte, che porteranno lei e suo padre a una morte atroce. Ma la vendetta di Medea non si esaurisce con la morte di Glauce e suo padre, ella uccide i propri figli negando a Giasone perfino di poter piangere sui loro corpi.
La Pace
La commedia di Aristofane si apre con due servi che preparano con degli escrementi un pasto per un affamato Scarabeo che può volare solo se ben nutrito. Trigeo, il vignaiolo, vuole difatti cavalcarlo fino a raggiungere l’Olimpo per chiedere a Zeus di fermare la guerra. Nel frattempo, però, la dea Pace viene rinchiusa in una caverna dal gigante Polemos. Tigeo, dopo vani tentativi, riuscirà a liberarla solo con l’aiuto dei contadini di Atene, gli unici che hanno compreso il valore della pace. Un passaggio estremamente attuale della commedia è quello in cui i contadini si rifiutano di acquistar armi da un mercante preferendo l’acquisto di prodotti agricoli. Insieme a Pace vengono liberati anche Opora e Theoria e, infine, si svolge una grande festa per il matrimonio di Trigeo e Opra e finalmente si respira la pace.
Ulisse, l’ultima Odissea
Ci troviamo in un aeroporto. Odisseo è impossibilitato a partire per raggiungere la sua patria e, preso dalla malinconia, si abbandona al ricordo e ai racconti del suo peregrinare. Ed ecco che con l’aiuto di un cantore e incitato da un coro di viandanti, evocano sulla scena le figure che costellano i viaggi di Ulisse. Da Calipso a Circe ritroviamo, in un’alchimia di musica e danze, i versi di Omero. Avventure e ricordi emozionano più che mai gli spettatori.
Il complesso delle rappresentazioni mette in scena, in contrapposizione, la razionalità e l’irrazionalità. La razionalità donata agli uomini da Prometeo e l’irrazionalità omicida di Medea. La razionalità della Pace e l’irrazionalità della guerra di Troia. I dolori della guerra e il valore della pace. Allo stesso tempo il dramma antico mette in chiaro il prezzo della razionalità, per le pene sofferte da Prometeo, per Medea e la vendetta che passa attraverso la morte di due bambini innocenti. Ed esalta il valore della Pace, che riesce a esprimersi anche in commedia contro l’inutilità della guerra che conduce inevitabilmente a un peregrinare che lascia incerta l’esistenza della via del ritorno.
Emanuela Stella