Rinvenuti in un eccezionale stato di conservazione grazie alle acque calde della sorgente che li ha preservati per duemila anni, i Bronzi di San Casciano rappresentano una delle più importanti scoperte archeologiche di tutto il Mediterraneo.
Il riposo è stato lungo, forse anche necessario, ma ora gli dei sono tornati, sono di nuovo qui per estasiare i mortali e renderli edotti, una volta di più, della loro miserevole condizione.
Attualmente in mostra al Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria dopo le prime due tappe al Palazzo del Quirinale e al Museo archeologico nazionale di Napoli, i Bronzi di San Casciano rappresentano una scoperta straordinaria, una delle più significative dell’intero Mediterraneo, di cui, nel nostro presente ultrarapido e produttore ostinato soltanto di noia, probabilmente non abbiamo ancora compreso la enorme portata.
La scoperta dei Bronzi al Bagno Grande di San Casciano
Quando nell’autunno del 2022 dagli scavi al santuario etrusco e romano del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni – comune della provincia di Siena all’incrocio con le regioni dell’Umbria e del Lazio – cominciarono a venire fuori numerosi reperti di vario genere, gli archeologi capirono subito di essere testimoni di una delle più importanti scoperte archeologiche del secolo, per molti la più grande scoperta dai Bronzi di Riace (1972) a oggi.
Le statue dedicate all’acqua sacra
“Nullus enim fons non sacer…”
“Non esiste fonte che non sia sacra…”
(Servio, ad Aen. VII, 84)
La notizia fece il giro del mondo. Dalle profondità del santuario – situato lungo il tracciato che collegava le antiche città etrusche di Chiusi e Vulci – affiorarono ventiquattro statue e statuine, molteplici ex-voto raffiguranti le parti anatomiche per le quali si chiedeva l’intervento curativo degli dei e migliaia di monete bronzee e argentee, oggetti rinvenuti in un stato di conservazione eccezionale grazie all’azione delle imperiture acque calde del sito.
Un tesoro che ci riporta una storia di culto e devozione, databile dal III secolo a.C. al IV secolo d.C. – la gran parte dei reperti risale al II-I a.C. nel corso del passaggio fra Etruschi e Romani –, in un luogo sacro in cui l’acqua era espressione massima della purificazione del corpo e dello spirito.
Ben consapevoli dei benefici terapeutici delle aquae calidae, le genti etrusche e romane frequentarono per sette secoli il luogo di cura e preghiera lasciando offerte in bronzo.
La valle termale di San Casciano
Il santuario termale sorse nella valle ricca di sorgenti di San Casciano già in età ellenistica e fu ampliato sotto l’imperatore Tiberio. Frequentato anche successivamente alla caduta di un fulmine che colpì il sito, fenomeno atmosferico che portò il preziosissimo deposito votivo a essere coperto da uno strato di tegole, secondo un principio di tradizione etrusca che voleva il sotterramento degli oggetti interessati dall’evento provenuto dal cielo, il complesso toscano fu abbandonato nel IV secolo d.C.
Un luogo di cura e preghiera extraterritoriale
Avvenuto nel contesto originario, lo straordinario rinvenimento rende possibile la ricostruzione delle storie delle persone, delle famiglie della aristocrazia etrusca prima e romana poi che frequentarono il santuario e vi portarono i pregevoli manufatti. Provenienti anche da chilometri di distanza dall’odierna San Casciano, ché le iscrizioni in lingua etrusca e latina presenti sulle statuette e gli ex-voto e menzionanti le aquae calidae conducono a famiglie dei centri di Chiusi e Perugia: dettagli importanti per studiare la geografia religiosa nel mondo antico.
I bronzi di San Casciano
La statua di un togato, la statua bronzea di Apollo, una statua femminile di orante con indosso un chitone e un mantello, acconciata con due lunghe trecce che le cadono sul petto, ritrovata sepolta a testa in giù, rivolta con la sua supplica al cuore delle acque sacre. Sono questi i principali manufatti riaffiorati dal prezioso deposito votivo di San Casciano.
Ma quella che primeggia in una ipotetica corsa a statuetta iconica dell’intero tesoro di San Casciano è un’altra, e reca questo messaggio:
“Lucio Marcius Grabillo, figlio di Lucio, (dedicò) questa statua e altre sei e sei gambe dai piedi all’inguine alla Fonte Calida (Calda), ha sciolto volentieri un voto, come è ben meritato”.
Questa è la traduzione della iscrizione latina conservata sulla coscia destra di una delle statue più belle emerse dal luogo di culto e ritualità del Senese: la statua dell’Efebo malato.
Risalente al principio del I secolo d.C., il bronzo, divinamente malconcio e sgraziato, guarda fisso negli occhi il visitatore, il mortale contemporaneo che gli sta dinanzi. La struggente immagine dell’Efebo malato chiede la cura che non possiamo dargli, ma a morire non è lui, ma noi spettatori, una, dieci, cento, mille volte di fronte alla sua eterna magnificenza.
Apollo dei Bronzi di San Casciano
Foto di Antonio Pagliuso
Antonio Pagliuso