Recensioni: “Dove la luce” di Carmen Pellegrino

Dove la luce, ultima fatica letteraria di Carmen Pellegrino, è forse il suo libro più intimo e sentito. Definirlo “romanzo” appare limitante: se da un lato sembra un memoir personale e al tempo stesso collettivo, dall’altro somiglia a un piccolo saggio su una generazione che “si credeva salva” e invece “era perduta all’origine”. Un romanzo, dunque, ma dall’andatura saggistica, che deriva il proprio titolo da una poesia di Giuseppe Ungaretti del 1930.

Le tre storie che attraversano Dove la luce

Tre storie si intersecano tra loro: quella del Professore, Federico Caffè, economista di scuola keynesiana realmente esistito, convinto assertore della necessità di assicurare ampia protezione sociale ai ceti più disagiati, nonché protagonista del dibattito economico-politico degli anni ottanta, del quale si perderanno le tracce a partire dal 15 aprile 1987. Quella, inventata, di Milo Marsico, un uomo che ha perso tutto e si è ridotto a vivere per strada aspettando una morte che tarda ad arrivare. E quella di una donna, in tutto somigliante all’autrice, che racconta pezzi della propria storia personale e familiare. Sullo sfondo, a fare da collante e da fil rouge per meglio contestualizzare questo romanzo-saggio di una generazione, c’è la grande Storia, specie i fatti che hanno segnato in maniera indelebile il decennio degli ottanta: dagli omicidi di Mino Pecorelli e Giorgio Ambrosoli, sullo scadere del decennio precedente, alla P2 di Licio Gelli, dalla strage di Ustica a quella di Bologna.

Sulla scomparsa di Federico Caffè si fecero molte congetture, e poiché non se ne rinvenne mai il cadavere, e dunque alcuna prova di una morte accidentale o volontaria, si arrivò a credere che si fosse rifugiato in un convento, deluso di fronte alla crescita di un Paese che progrediva sì ma non nella direzione egualitaria da lui appassionatamente teorizzata e predicata.

Anche Dove la luce, uscito per La Nave di Teseo, propone un’ipotesi, dichiarandola fin da subito di pura invenzione: il noto economista avrebbe deliberatamente seguito il suo amico clochard verso un luogo abbandonato, dove finalmente perdersi agli occhi del mondo, attuando quel processo di decreazione a cui più volte la Pellegrino fa cenno nel corso del libro citando Simone Weil che la intendeva come un “rendere a Dio” quel “potere di dire io” che è l’unica cosa che possediamo. Ma per Carmen Pellegrino non si tratta tanto di un annullamento mistico quanto di un “contenere moltitudini” in senso whitmaniano.

La abbandonologia di Carmen Pellegrino

Giungiamo così a sottolineare altre due caratteristiche importanti di Dove la luce: da un lato la presenza di numerosi autori i cui libri vengono menzionati con un senso di devozione che la dice lunga circa l’amore della nostra scrittrice per la letteratura e per il potere che essa ha di influenzare le nostre vite: Walter Benjamin, Anne Carson, Paul Celan, Witold Gombrowicz, Gérard de Nerval, Paul Nizan, Pier Vittorio Tondelli, Robert Walser e tanti altri. Dall’altro quella poetica dei luoghi abbandonati che sempre, in maggior o minor misura, risuona nei libri della Pellegrino e che in questo romanzo sfocia in un capitolo intitolato senza mezzi termini Abbandonologia.

Finalista al Premio Campiello nel 2021 con La felicità degli altri, Carmen Pellegrino torna così di nuovo alla terra, quella di origine, dalla quale sembra ogni volta scappare per cercare salvezza altrove, ma che sempre esercita un richiamo profondo. Quella terra che “non mi ha mai tradito”, come dice Giosuè Pindari, uno dei personaggi di Se mi tornassi stasera accanto, altro romanzo dell’autrice di Postiglione degli Alburni, la quale nei paesi in disfacimento, popolati ormai solo di ombre e di fantasmi, riscopre una vita clandestina, carsica e nascosta da cui sembra provenire un invito alla resistenza, un varco da cui filtra la luce.

Antonella Falco