Recensioni: “La terapia del bar” di Paolo Ciampi

Ne La terapia del bar, Paolo Ciampi ci guida nel microcosmo dei bar d’Italia, nella multiforme sociologia, ricca di costumanze e liturgia, di quello che “è ancora il teatro delle relazioni possibili”.

Di bar in Italia ce ne sono circa centocinquantamila. La Penisola si rivela terra perfetta per questi “posti eccellenti per esercizi di solitudine”, come le panchine e le isole, luoghi di malinconia, in cui ritrovare se stessi o anche scoprirsi, attraverso il filtro della comunità attorno.

Giornalista e scrittore con la passione per i viaggi lenti, Paolo Ciampi è autore del saggio La terapia del bar. Piccole storie di luoghi resistenti, baristi filosofi e varia umanità, pubblicato da Ediciclo nella collana Piccola filosofia di viaggio.

Già segnalato coi suoi romanzi in due occasioni – nel 2019 e nel 2021 – al Premio Strega, in questo saggino di novantaquattro pagine Ciampi ci guida nel microcosmo dei bar del nostro Paese, nella sfaccettata sociologia che vi trova sbocco, ché il bar, come afferma Giampaolo Nuvolati, “è ancora il teatro delle relazioni possibili”. Un palco tra vita reale e vita immaginata in cui è più facile socializzare, fare gruppo, sentirsi investito di fiducia dal prossimo, anche se sconosciuto.

Non luoghi di malaffare, ma autentici luoghi del cuore

Bar dell’infanzia in cui si sono conquistate le prime minuscole indipendenze, bar delle pigre estati di villeggiatura cullati dal suono dei jukebox, bar in cui “trovare l’America”, bagliori fantasticati di cui sentirsi parte, anche solo per un attimo, ingollando un intruglio particolare o masticando una gomma avvolta in una carticella con su stampata la sagoma di una metropoli americana, ma in realtà fabbricata a pochi passi da casa.

E guai a pensare il bar – e a trasfigurarlo – come un non-luogo da sfruttare appena per bere il caffè che non abbiamo fatto in tempo a preparare a casa perché in ritardo al lavoro; guai a credere il bar un postaccio in cui bighellonano perdigiorno e persone di malaffare – certo, esistono pure quelli consegnati a tale clientela, ma rappresentano senza dubbio una esigua minoranza.

Bar aperti e non sbarrati

Quest’ultima, ci fa riflettere Ciampi, è la distorta visione generata anche dalla incerta etimologia della parola bar che una ipotesi vuole derivi dal termine barred, sbarrato, in relazione alla condizione in cui si trovarono certi locali durante il proibizionismo americano tra gli anni venti e i primi anni trenta del secolo scorso. Sbarrato, una parola che ha lasciato al bar lo scomodo e inesatto strascico di un posto chiuso, in ombra, equivoco, al di là di certe regole del vivere civile.

Luoghi eletti di scrittori e cantautori

I bar, invece, sono quanto più vicino alla civiltà e al concetto di casa: luoghi da abitare senza sbarramenti, luoghi in cui è possibile fare incontri imprevedibili, imbattersi in avventori carichi di speranze e di storie. E non c’è da sorprendersi se questi ambienti magici – al pari dei luoghi cugini quali cantine, taverne, pasticcerie eccetera – abbiano ispirato generazioni di scrittori e cantautori: Ernest Hemingway, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Fernando Pessoa, Giorgio Gaber, Gino Paoli, Vasco Rossi.

“I bar sono porti a cui ormeggiano le storie: sta a te riconoscerle, a volte sta a te impastarle con la fantasia.”

Dai lounge bar alle bottiglie di Vov

Ma possiamo sostenere di essere i bar che frequentiamo? Considerate le numerose tipologie di bar che esistono oggigiorno possiamo. Paolo Ciampi diffida dai locali lounge, tutti design – solo design –, che offrono esplosioni di luci, musica tecno sciolta e camerieri in livrea, quei posti alla moda – passeggera, per due o tre stagioni – per boccaloni di provincia in cui la pace è un concetto oltremodo distante tra urla e rumori tollerabili soltanto da genti da trivio distinte dal bisogno di mostrarsi e farsi piacere, tentando di diluire nel caos il terrore di restare da sole con la propria anima anche soltanto per un’ora.

Chiaramente, i bar amati da Ciampi ne La terapia del bar sono assai più vicini al Bar Sport di Stefano Benni, ai Bar Italia e ai Bar Centrale presenti – con le loro bottiglie piacevolmente polverose di China Martini, Cynar, Punt e Mes e Vov – in ogni piazza e in ogni corso di paese della nostra Italia che soprattutto di paesi è fatta. Bar che conservano le loro costumanze, come le dispute a chi debba offrire il caffè all’altro, e la loro liturgia che può andare dal “Il solito!” degli habitué ai leggendari “Tre scotches” del geometra Calboni.

Il volume si intride di nostalgia quando l’autore parla dei giochi di un tempo come il calciobalilla, il flipper e il biliardo; o ancora la scopetta, la briscola e il tressette a coppie di due giocatori cui si aggiungono gli innumerevoli molesti spettatori d’ognintorno, sempre pronti a consigliare la mossa più giusta.

Il microcosmo del bar

La vita appare davvero più lenta e più dolce nei bar, anche grazie ai suoi personaggi tipici. Un ruolo da protagonista riveste di certo il barista, non un semplice mescitore di bevande, ma all’occasione confessore, psicologo, amico che ne ha viste di tutti i colori. Attorno a lui si muove un’umanità varia che va dagli allenatori di calcio ai presidenti del consiglio mancati – fauna di cui abbondano i bar, perlomeno i bar di una volta, ché nei bar à la page non si parla né di calcio né di politica.

E poi, diciamocela tutta, chi nell’aria fiabesca del bar di fiducia non ha mai vagheggiato un amore al di là del bancone? La barista – elemento imprescindibile –, immancabilmente donna, quasi sempre sorridente, tremendamente bella – saranno mica le lucine, gli specchi e i riflessi sulle bottiglie verdi, gialle e azzurre a renderla così affascinante?

“Sono soffi di umanità” i bar; luoghi di serendipità, realmente democratici in cui si possono trovare gomito a gomito, privi di barriere, professori e muratori, intellettuali e fannulloni, parlamentari e beoni; presidi di una civiltà che resiste, invincibile, che non ha alcuna intenzione di scomparire divorata dalla uniformazione dei gusti e dei costumi del nostro tempo.

Antonio Pagliuso