Ernest Hemingway: appunti di una vita sregolata tra scrittura, donne e alcol

È l’alba del 2 luglio 1961 quando dalla cittadina di Ketchum, stato dell’Idaho, si spande un fragore destinato a sconvolgere il mondo intero. Ernest Hemingway è morto; il Nobel per la Letteratura del 1954 si è tolto la vita sparandosi con uno dei suoi fucili.

Una vita sregolata ed errante, conclusa in maniera plateale con un colpo di fucile a mettere un punto al decadimento fisico e psichico di uno degli scrittori più importanti del Novecento. Premio Nobel per la Letteratura nel 1954, nell’anno precedente premio Pulitzer e, in Italia, vincitore della prima edizione del premio Bancarella, autore di romanzi amatissimi come Fiesta, Addio alle armi, Morte nel pomeriggio, Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare. Le opere letterarie, lo stile narrativo unico, l’essenzialità del linguaggio, con ogni parola accuratamente selezionata, e i premi ricevuti sono sufficienti però solo a dare un quadro parziale dell’uomo che è stato Ernest Hemingway: fine scrittore, certo, autore rivoluzionario, ma anche grande giornalista, reporter, uomo d’azione, viaggiatore, pescatore, cacciatore, agricoltore, amante delle donne, del cibo, dell’alcol, delle corride e di tutte le grazie che ci ha concesso Cristo sul pianeta che siamo soliti chiamare Terra.

L’azione per Hemingway – nato a Oak Park, Illinois, il 21 luglio 1899 – comincia nella primavera del 1918 quando, frattanto che lavora a Kansas City nella redazione dello “Star”, il suo primo impiego giornalistico, si arruola nell’esercito americano diretto in Italia, dove imperversa la Prima guerra mondiale. Il giovane non può combattere a causa di una malformazione a un occhio, perciò viene incaricato di guidare l’ambulanza di campo. Non passano però troppi mesi e a Fossalta, sulle sponde del Piave, viene ferito gravemente alle gambe da alcuni colpi di mortaio. Trasportato in ospedale a Milano, conosce la crocerossina Agnes von Kurowsky di cui si innamora. La liaison durerà poco, ma non sarà mai dimenticata dal futuro autore di Addio alle armi, grande successo editoriale pubblicato nel 1929 e ampiamente basato sull’esperienza al fronte italiano.

Ernest Hemingway e le donne

La von Kurowsky sarà soltanto la prima delle innumerevoli donne che si alterneranno nella vita turbolenta, anche sotto il piano sentimentale, di Ernest Hemingway. È con l’amore che l’uomo tenta di lenire le sue sofferenze e angosce, fisiche e interiori. In tal senso, non si può non citare il rapporto al confine caliginoso tra amicizia e amore con la stella del cinema Marlene Dietrich, il vero e unico Angelo azzurro, conosciuta negli anni trenta su una nave da crociera e con cui intesserà un intimo rapporto che durerà per tutta la vita; o la relazione, platonica, ma fonte di grande scandalo, con Adriana Ivancich, una nobildonna veneziana di soli diciott’anni, conosciuta nel ‘48, quando lo scrittore va per i cinquanta, e che fungerà da musa per taluni racconti come Di là dal fiume e tra gli alberi (1950) ambientato nella malinconica laguna di Venezia.

Nel corso della sua esistenza, sono molteplici i nomi di donne che Hemingway vedrà accostanti dalla stampa scandalistica al suo, con buona pace delle quattro mogli con cui si unisce in matrimonio tra il 1921 e il 1945: la prima è la pianista Hadley Richardson, conosciuta di ritorno dalla Grande guerra e con la quale si trasferisce a Parigi.

Il matrimonio non dura molto ché nel 1926 Hemingway si infatua della collega Pauline Pfeiffer, impiegata della rivista “Vogue”, con cui convola a nozze l’anno successivo dopo una lunga trattativa con la Richardson per il divorzio – la donna, scoperta la relazione del marito e le sue intenzioni, gli propone una prova, un disperato tentativo di salvare il matrimonio: restare per cento giorni senza vedere e sentire Pauline; se trascorso il lungo periodo, l’amore per la Pfeiffer è intatto la donna si impegnerà a firmare le carte del divorzio e uscirà dalla vita di Hemingway. Così sarà. La terza moglie dello scrittore è un’altra giornalista, Martha Gellhorn, con la quale parte come corrispondente di guerra alla volta della Spagna dove nel 1936 è scoppiato il conflitto civile tra nazionalisti e repubblicani – questa esperienza ispirerà il famoso romanzo Per chi suona la campana. L’ultima moglie di Ernest Hemingway è Mary Welsh, la donna che gli starà vicino fino agli ultimi istanti di vita.

Il vecchio e il mare, il Premio Nobel e il declino psicofisico

Il matrimonio con la Welsh (1945) coincide con il definitivo trasferimento a Cuba – isola amata e in cui Hemingway aveva già soggiornato anni prima – e l’inizio della sua parabola discendente, non come autore, ché l’ultima per lo scrittore sarà la fase più ricca di onorificenze, ma come uomo. Dalla Finca Vigía, la sua villetta nei pressi dell’Avana, Hemingway comincia a ricevere il consuntivo di una vita dedita all’alcol e quello delle ferite subite negli incidenti di guerra, delle battute di pesca a Cuba e di quelle di caccia in Africa – l’ultimo, nel ’53, lo vede coinvolto in due incidenti aerei consecutivi dai quali esce con ustioni, la colonna vertebrale fratturata e la parziale perdita della vista e dell’udito.

Ernest Hemingway: appunti di una vita sregolata tra scrittura, donne e alcol
In un safari in Kenya nel 1953 con l’ultima moglie Mary
Foto di pubblico dominio (Ernest Hemingway Photograph Collection, John F. Kennedy Presidential Library and Museum, Boston)

Nonostante l’enorme successo de Il vecchio e il mare (“l’epilogo di tutti i miei scritti e di tutto ciò che ho imparato, o cercato di imparare, mentre scrivevo o tentavo di scrivere” secondo l’autore, “un brutto libro che ebbe un immenso successo” secondo Alberto Moravia, tutt’altro che un estimatore dello scrittore statunitense) e l’assegnazione del Nobel per la Letteratura (questa la motivazione ufficiale: “per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con Il vecchio e il mare, e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo”), lo scrittore è oramai preda dei suoi fantasmi: ha perso la fiducia in se stesso e nel suo fisico – suo fido alleato fino a quel momento –, inizia a sentirsi perseguitato dall’FBI ed è sempre più terrorizzato dalla prospettiva di diventare povero, invecchiare e perdere così la memoria. In questo periodo, supportato dal figlio Patrick – avuto con Pauline Pfeiffer –, scrive il libro di memorie di una vita Festa mobile, pubblicato postumo nel 1964, l’opera nostalgica e melanconica per ricordare i “bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici”.

Gli ultimi giorni 

“So che la notte non è come il giorno: che tutte le cose sono diverse, che le cose della notte non si possono spiegare nel giorno perché allora non esistono, e la notte può essere un momento terribile per la gente sola quando la loro solitudine è incominciata.” (Addio alle armi)

Hemingway passa gli ultimi anni tra la Finca Vigía e una clinica in cui è costretto a subire terribili sedute di elettroshock che purtroppo non riescono a invertire la rotta della sua incontrollabile depressione. Anzi, contribuiscono ad allargare la sua penosa amnesia.

L’ultima lettera di John Keats, il poeta “il cui nome fu scritto nell’acqua” 

La sera del 1° luglio 1961, un sabato, giorno in cui nel Vecchio Continente, a Meudon, nei pressi di Parigi, si spegne nell’indifferenza generale un altro grande scrittore del Novecento, Louis-Ferdinand Céline, Ernest e Mary sono a Ketchum, cittadina dell’Idaho in cui si sono trasferiti da qualche tempo. Il giorno volge al termine e, prossima a coricarsi a letto, la coppia canticchia un brano imparato in Italia, durante una vacanza a Cortina d’Ampezzo: Tutti mi dicono bionda, ma bionda io non sono. Hemingway appare sereno, ma non è così. Nottetempo lo scrittore abbandona il talamo e si dirige nello sgabuzzino dove sono riposte tutte le armi maneggiate nel corso dei passati safari in Africa. Impugna un fucile, ne orienta la canna contro il volto e fa fuoco.

“Verso le sette del mattino, il 2 luglio 1961, compì l’azione definitiva della sua vita. Come un samurai che si sentisse disonorato dalla parola o dai gesti di un altro, Ernest sentì che il suo corpo lo aveva tradito. Piuttosto che permettergli di tradirlo ancora caricò l’arma che aveva in pugno, si sporse in avanti mentre posava il calcio del suo fucile favorito sul pavimento e trovò modo di sparare.” (Fernanda Pivano, “Corriere della Sera”)

Da uomo libero, Ernest Hemingway ha messo fine alla sua corsa, a una vita condotta sempre sul limite; dopo aver affrontato sprezzante ogni difficoltà, le guerre, le donne, le sventure, le bestie, l’uomo si è arreso a se stesso.

Antonio Pagliuso

Foto di pubblico dominio (U.S. National Archives and Records Administration)