Recensioni: “Mantieni il bacio” di Massimo Recalcati

La chiave di violino del libro Mantieni il bacio di Massimo Recalcati, edito nel 2019 per Feltrinelli, a sua volta residuo diurno di un sogno che aveva visto l’autore intento, durante una lezione di pilates, a raccogliere gli insegnamenti dell’istruttrice che lo invitava a mantenere, in uno sforzo posturale, il bacio tra le ginocchia. Innegabile la valenza icastica del bacio in qualsiasi espressione artistica, letteraria ed empirica dell’amore.

Non è un caso che quel suggello che crea una lingua nuova non trovi cittadinanza nella terra dell’amore mercenario e sia poco usuale in quella della pornografia. Prodromica di ogni amore la promessa dello stesso che a sua volta sottende un larvato interrogativo “L’amore domanda amore lo domanda ancora” scriveva Lacan. Parafrasando Oscar Wilde potremmo a ragion veduta sostenere che siano i grandi amori più  di tutti a patire l’impatto con la realtà, perendo per l’impossibilità stessa di mantenere altezza e vertigine emozionali.

L’amore nel suo apogeo è un barometro incandescente che bruci con la conseguenza inevitabile della sua consunzione, mentre l’aspirazione umana è quella  alla durata che a sua volta si elide con la “combustione”. In questa valutazione l’approccio asettico e tecnico del padre della psicoanalisi, per il quale l’amore altro non è se non espressione narcisistica della volontà di specchiarsi nell’immagine ideale di se stessi  che l’amato ci rimandi, sicuramente non soccorre.

“L’incontro d’amore somiglia sempre ad un miracolo perché trasforma il prevedibile nell’imprevedibile,, il possibile nell’impossibile, il tempo routinario in una rivelazione.”

Ogni incontro d’amore ha come denominatore comune la casualità: “Non si può decidere chi amare come non si può scegliere  se essere o meno folli”.

Lo stoppino incendiario dell’amore ha il suo attizzatoio nel desiderio che non si può ridurre allo schematismo meccanico ed istintuale freudiano. Nel mondo animale esso soggiace infatti allo scopo univoco della riproduzione sessuale mentre in quello degli esseri umani è multiforme e caleidoscopico. Quello che consente la durata del desiderio è il colore variegato dello stesso, non il chiaro scuro del feticismo che anatomizza il corpo dell’amato rendendone ogni pezzo oggetto di vorace appropriazione, in una bulimia di involucri senza unicità. La tavolozza dei colori è rintracciabile solo nel desiderio non scompagnato dall’amore per il quale il destinatario del sentimento  è un unicum, una sorta di libro nuovo ad ogni lettura e pieno di suggestioni, all’ammaliante canto delle Sirene Ulisse preferirà sempre il ritorno dalla sua Penelope. Solo così l’amore diventa esperienza  di “una tregua dal dolore del mondo”. Con l’arrivo dei figli il mondo viene battezzato una seconda volta ma solo se comprenderemo che con il loro avvento essi non ci chiederanno eredità di beni ma di sguardi. I figli avranno il loro lascito più prezioso nel modo che tramanderemo loro di guardare  al nostro pianeta e se sapremo fotografarne “lo splendore”, prendendo in prestito le parole della poetessa Gualtieri,  il ventre della nostra prole non conoscerà digiuno.

Il giuramento d’amore è come un guscio di speranza che serbi dentro di se il nocciolo ostico dello spergiuro, perché non esiste contratto o voto divino che non possa affogare nei marosi dell’esistenza, trovandoci sempre naviganti inesperti. Quasi  ineluttabile il sentimento della gelosia  che è spesso una tetra spia della mefitica paura dell’esaurirsi di un amore e per l’autore si declina in maniera differente tra i due sessi.

La gelosia nella donna è paura di abbandono e di perdita della sua unicità mentre nell’uomo è proiettiva visto che esso sperimenta  attivamente il tradimento  ne vede l’imminenza del pericolo nella potenziale infedeltà della donna. Ogni spinta appropriativa verso l’altro che tenda a limitarne la libertà assoluta è destinata a fallire. La scoperta del tradimento è simile  alla condizione raccontata da Jean  Amery: “Egli sapeva benissimo che con la sua militanza rischiava la propria vita. Lo sapeva razionalmente (…). Questo sapere restava astratto. Solo dopo esser stato legato alla sedia dai suoi aguzzini e aver ricevuto il primo colpo incontra davvero la verità di ciò che già sapeva”.

Per il torturato come per l’innamorato tradito la paura consustanziale alla loro condizione esistenziale diventa reale, dando carne a quello che era solo un fantasma,  con l’attualizzazione dell’evento temuto. Il tradimento può essere perdonato, ma mai in maniera estemporanea  e soltanto a seguito di un’ elaborazione del lutto che accetti l’imperfezione dell’altro come speculare alla propria, in quanto prima del corpo è stato tradito il patto d’amore.

Il perdono eventuale, infatti, non riposa sulla dimenticanza ma sulla convivenza con la ferita alla maniera di quello che insegna l’arte giapponese del  Kintsugi che non sostituisce il vaso infranto ma con i resti dello stesso ne ricostruisce un altro, dipingendo i tagli di oro, così come dalle ferite del corpo tradito si potrà scrivere poesia. Come si inscriva nel percorso d’amore il fenomeno della violenza l’autore prova a domandarselo partendo da quelle che potevano essere le aspettative di Hitler sul mondo femminile. Hitler aveva una cagna di nome Blondie alla quale forse sperava potessero assomigliare le sue compagne, accondiscendenti e servizievoli e quindi sempre lontane da una vera interazione. Di sicuro l’irruzione nel mondo maschile di una donna è una dichiarazione di guerra alla sua identità, laddove l’uomo vorrebbe  confinare lì fallisce come se gettasse reti in un oceano per raccogliere l’acqua.

“In altre parole, gli sforzi per possedere una libertà come libertà sono sempre votati allo scacco. Devo allora fare esperienza dell’assoluta impenetrabilità, inassimilabilità dell’Altro, del suo segreto irraggiungibile. Per questa ragione per Proust l’essere della donna amata è sempre un essere di fuga, un essere in fuga anche quando lo stringiamo tra le nostre braccia”.

La violenza è la piaga purulenta del corpo che l’amore dovrebbe far fiorire ed in quanto tale con lo stesso non si affratella ma ne costituisce distorsione  e disfunzionalità. Attraverso la coercizione ci si appropria dell’altro in quanto oggetto, preferendo succhiare la vita all’essere che si dica di amare, piuttosto che perderlo. La violenza è la sconfitta dell’uomo di fronte al mondo libero ed ingovernabile della donna, quell’identità simbolica ed esposta nel corpo dell’uomo non è tale in quello della donna che deve cercare il suo significato spesso riponendolo nella risposta di un uomo.

“E’ un’illusione molto pericolosa (…) subire la violenza per avere in cambio la risposta alla domanda: “Cosa significa essere una donna”? . Esiste poi la più terribile delle eventualità per una coppia ovvero il dramma della separazione che Recalcati definisce “separtizione” prendendo in prestito un termine impiegato da Lacan. Essa infatti non è distanziamento meramente materiale, ma è prima di tutto mutilazione fisica di una parte di noi stessi come se si staccasse la mano da un metallo ghiacciato e su quello non potessimo evitare di lasciare un frammento di pelle. L’altro se ne va portando via  tutto il nostro investimento libidico e il “furto” non è riparabile con nessuna surroga, si deve avere la pazienza delle vestali al vivo fuoco della fiamma del lutto.

Un’alternativa illusoria è quella dell’odio verso l’amato in quanto carnefice che ci abbia condannati alla mancanza, ma scegliendo questa via continueremmo a coltivare l’attaccamento. Al termine di questo viaggio ci si pone l’interrogativo più importante: Può l’amore durare? Siamo abituati a vedere la ricerca dell’effervescenza del sentire nel nuovo, dimenticandoci che anche la novità soggiace alla regola universale della caducità ed è destinata a diventare obsoleta. Solo quando  siamo capaci di  elevare l’amato da oggetto ripetibile in qualcosa di unico il desiderio smette di transitare tra esseri indistinti ed indifferenziati, l’amore è prima di tutto specialità.

“In questo consiste la possibilità di unire il desiderio al godimento, di saldare il Nome al corpo, di fare del corpo un nome e del Nome un corpo.” “E’ il miracolo più proprio dell’amore quando c’è: fare dello Stesso il Nuovo. La ripetizione non annienta l’amore ma lo rende infinito.”

Antonella Crocè