Recensioni: “Non è di maggio” di Luigi Romolo Carrino

“Nel cielo maggio ci mette una palla che appiccia di arancione la casa verde, la casa azzurra con lo scalone in piperno, la casa con il finestrone viola. I pescatori le hanno colorate così, le loro case, per riconoscerle subito anche da mezzo al mare e pare che maggio questo lo sa e dà una mano leggera di indaco per farle luccicare di più.”

Le luci fioche dell’alba, o del tramonto. Il porto silenzioso, l’ombra di un piroscafo che si avvicina lento dall’orizzonte. Lo sciabordio costante del mare, un gabbianello che garrisce e taglia in due il cielo color malva e Procida che, profumata di primavera, accoglie il lettore tra le pagine di Non è di maggio, l’ultimo romanzo del poliedrico e finissimo scrittore Luigi Romolo Carrino.

L’autore ci immerge subito nelle atmosfere magiche di Procida, avvisando però – alla maniera dell’amata Elsa Morante ne L’isola di Arturo, l’indimenticabile e più famoso romanzo ambientato nell’isola partenopea – circa l’indefinitezza della cornice della storia, che potrebbe riflettere le caratteristiche di qualche altra isola o luogo appartato del Mediterraneo, abbracciato dal mare o dai monti.

È arduo individuare il protagonista principale di Non è di maggio, perciò preferiamo parlare di un’orchestrina di pezzi da novanta a cominciare da Angela Lieto, ragazza di buona famiglia rimasta incinta, che a Procida trova la serenità oramai compromessa nella ipocrisia borghese dei salotti di Napoli, sicché nell’isola “si pesca, si fanno figli, si mangia il pesce e le donne si guardano le une con le altre senza rivolgersi una parola, senza parlare se non per dire il superfluo”. La sua vita è segnata da esperienze sentimentali sventurate: l’uomo che la mette incinta fugge via alla prima occasione utile; Salvo, il giovane contadino, povero ma innamorato che vorrebbe sposarla nonostante la condizione speciosissima, muore di tifo.

Prove difficili che portano a decisioni altrettanto difficili e inevitabili: i bambini che Angela porta in grembo sono due, troppi per chi sa già di dovere nascondere quell’accadimento. La giovane donna decide di partorirli in spiaggia, davanti al mare, dare la vita in faccia a quell’ingordo signore della morte che ha fatto tanto soffrire molte donne dell’isola, come Rosina, la mammana che la assiste nel parto gemellare.

Rosina, la janara, la serpentessa, la muta della Corricella è una vedova che governa casa Lieto. Altro protagonista centrale di Non è di maggio, la mammana Rosina non emette suoni, ma parla, urla, strepita più di tutti con il suo sguardo, il suo dolore, la sua autorevolezza maliarda; la donna vorrebbe ardentemente che il mare – elemento vivo nella storia – si seccasse, non solo quello attorno all’isola, ma tutto quello del globo. Il mare, il suo nemico, quello che una notte le ha portato via, “arrubbato senza permesso”, senza riguardo nemmeno per una strega come lei, il marito e i due figli. Strappati dalle sue mani senza restituirle neppure un brandello di carne, una reliquia che ne potesse attestare “il suo diritto a impazzire di dolore”, quel dolore che la muta della Corricella preferisce non fare passare, ma lasciare che muti in carne, mescolarlo al suo sangue, ché è giusto così, altrimenti, se passasse, che dolore sarebbe?

In questo mondo femminile, in cui gli uomini sono esclusi o al limite presenti sotto forma di ricordo, collera o ricatto, irrompe Salvo – come l’amore scomparso di Angela –, il bambino cui poter dare un futuro, il “figlio a metà” che ineluttabilmente ricorda l’incantevole Arturo della Morante. La sua voce arriva già dalle nebbie di un sacco amniotico, luogo in cui riesce ad avere la meglio nella prima sfida importante della sua vita: lui resta mentre il gemello viene dato subito in adozione.

I primi anni di vita di Salvo si consumano nell’esilio di Villa Lieto, assieme alla mamma, nascosti dallo sguardo e dalle malelingue altrui, ammantati dietro una menzogna dalle gambe fragili: c’è un’onta da coprire e le donne della villa raccontano che il bambino che vive con loro è stato trovato tra i faraglioni della spiaggia di Ciraccio, caduto da chissà quale nave di passaggio: un dono del mare. Salvo conosce la sua storia, ma ignora l’umanità tutt’attorno, eccezion fatta per un altro criaturo, Nuccio, suo fratello di latte, un bambino autistico che di futuro non può pretenderne. 

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Nella sublime narrazione di Luigi Romolo Carrino – tra le tante, mirabile la scena di Angela che lava e veste la madre Anna, deceduta col peso dei suoi segreti –, si percorrono l’infanzia e la giovinezza di Salvo che prova a sopperire all’assenza del gemello finito chissà dove con la presenza di Nuccio, il bambino offeso, nelle infinite giornate trascorse al mare, sola valvola di sfogo nella esistenza ovattata e nostalgica – che poteva essere e non è stata – dei due ragazzini.

“Un pensiero veloce corre verso quello che sta facendo Antonio: lo scaccio. Nuccio è una creatura candida ed è lui il fratello che voglio. Nuccio è quello che mi manca e mi completa e sento, io sento e desidero, io voglio che il tempo non trascorra e non ci cambi, voglio che gli anni non passino a cambiarci il fisico e la mente.”

Il realismo magico e la prosa poetica di Carrino, autore anche di tre sillogi, si sciolgono armoniosamente in una lingua ricercata, elaborata che fa di Non è di maggio – edito da Arkadia e segnalato al Premio Strega 2021 da Wanda Marasco per “l’incanto della lingua” che omaggia il romanzo del Novecento – un libro potente, che non si può non amare fin dalle prime pagine. Un’opera che tiene viva la speranza che nell’odierno panorama editoriale italiano, fatto di romanzi tutti uguali, editi per il momento, scritti con un unico lessico “buono per vendere”, ci sia ancora spazio per la sperimentazione e la scoperta.

Antonio Pagliuso