Recensioni: “Osservatrice aggravata” di Valentina Falsetta

Ora regolare, ora incostante, ora netto, ora sfumato è il tempo di Osservatrice aggravata, la prima silloge di poesie della giovanissima autrice Valentina Falsetta.

Il tempo sfuggente o cristallizzato, come la sola data specifica che compare nel volume edito da Attraverso, il marchio dedicato alla poesia contemporanea del gruppo Utterson; quel 2 febbraio – il giorno della Candelora, dì da cui la tradizione popolare vuole manchino quaranta giorni alla fine dell’inverno – in cui coi suoi tre chili e duecento grammi Valentina Falsetta vagisce il primo buongiorno al mondo.

E del conto alla rovescia Osservatrice aggravata riflette a tratti il ritmo, il rigore, l’ineluttabilità.

Sono circa centodieci i versi contenuti nella raccolta in cui non può di certo mancare l’amore – il tema dei temi –; si avverte un sentimento dolceamaro, tra il sogno e il cruccio: il “dolce fantasma” dell’amore che non c’è, quando lo sguardo cambia, quando gli equilibri da ritrovare sono altri, non più comuni ma personali. E intima, via via, si fa la scrittura dell’autrice: intensa, privata, circonstanziata: avvocato difensore e giudice giusto, come Salomone.

Nel flusso interiore di Falsetta, le parole accendono e spengono fiammelle in un “equilibrio poetico” che è carezza, unguento che lenisce gli ematomi della vita – che vanno via – e le cicatrici – che invece restano. L’incorruttibilità dei propri pensieri, l’importanza di tacere, della parola in meno quando occorre – “Nel molto parlare non manca la colpa, chi frena le labbra è prudente” (proverbi di Salomone, Bibbia) –, della parola in più quando l’animo è gentile, quando può impedire di indurirsi, scongiurare la trasformazione da ciclamini in cardi.

Da ciclamini in cardi. Si riscontrano così dei contrasti nella poesia di Valentina Falsetta, una giovane donna che sembra voglia rimediare all’amore che non si è concessa, donata, ma che non riesce a perdonarsi di alcune debolezze passate – “attimi di schiena scoperta davanti a tigri bianche” – nonostante la volontà impetuosa e la fermezza nelle decisioni. Umana discrepanza – un atto di difesa più che di attacco – di chi tanto ha dato e poco ha ricevuto nel bilancio provvisorio dei venti, trenta, quarant’anni.

“La vita va lenta // eppure ancora di correre // non smetto.”

Ma tra le righe si appalesa, pare, una possibilità: l’autrice, dinanzi a una distesa atemporale di opportunità, si trasforma in una farfalla di ferro che nella sua “fama insaziabile” sogna venti nuovi in cui librarsi e perdersi.

Antonio Pagliuso