Recensioni: “The Garage Man” di Paolo Franco

Essere spettatori di ciò che ci circonda come i passeggeri di un autobus, affollato o meno, e osservare tutt’intorno o scrutando ogni singolo individuo all’interno dell’abitacolo o fuori dal finestrino, per guardare oltre ciò che abbiamo sotto il naso: essere spettatori di un viaggio comune che ci vede protagonisti o comparse. L’autobus sarà una simbologia ricorrente dell’autore Paolo Franco in The Garage Man, edito Scatole Parlanti. Le fermate segnano un arrivo, una partenza: un cambiamento transitorio o repentino, così come per l’evolversi della narrazione.

Ogni capitolo sembra descrivere storie e personaggi a sé stanti, ma tutto sarà tranne questo, ovvero un susseguirsi di intrecci, coincidenze e rivelazioni, tra persone, luoghi ed eventi, per scoprire poi quanto tutto è interconnesso e transitorio: una strada, un locale, un giardino, persone e le loro vite, ignare, sottovalutando così, ogni causa effetto scatenante.

Personaggi contrapposti manifestano l’indole dell’essere umano, nessuno escluso. In The Garage Man sono descritte donne “profumiere” e donne soprammobile; uomini violenti e arroganti contrapposti a uomini colti, timidi e impacciati, che si relazionano tra loro come in una legge di compensazione.

La donna profumiera: il profumo identificato in uno dei cinque sensi, che ne caratterizza movenze e bellezza, atte a inebriare il sesso opposto. Un genere femminile vittima di sé stessa, perché bloccata in un vortice di effimera bellezza che rappresenta un seducente involucro mal riposto, di una persona perfida e insicura e nel contempo carnefice di uomini sensibili e insicuri, che si fanno abilmente ingannare e avvinghiare dalla profumiera, dedita solo ad appagare le proprie insicurezze. A essa è contrapposta la donna soprammobile, “quella che senza un uomo al suo fianco non riesce nemmeno a prendere un autobus”, quel genere che accetta passivamente dal proprio compagno qualsiasi cosa, sottomessa a una dipendenza che la rende in primis schiava di sé stessa, priva di ogni forma di rispetto individuale e amor proprio.

Paolo Franco, in questo alternarsi di opposti e contrapposizioni, pone molta attenzione a quella malattia sociale chiamata amore, che ruota intorno al sesso e alle varie interpretazioni che gli si attribuiscono. Coppie e non coppie che vivono il sesso come appagamento fisico, trasgressivo, volgare, sudicio, che poi tutto questo appagamento non restituisce. Oppure è corretto pensare e voler vivere il sesso con sentimento, amore, in cui il trasporto dei due corpi rappresenta anche l’unione delle due anime.

E ancora evidenzia persone benevole e altruiste, contrapposte a tutte le varie forme di corruzione interiore legate ad avidità, ricchezza e lussuria di chi è apparentemente “per bene”; perché si sa, l’etichetta è tutto. Avvocati o poliziotti sono degni di rispetto, non si può certo dubitare della loro onestà, ma in esse si celano individui così aridi, accaniti in una continua esigenza a volere sempre di più che la corruzione, a portata di mano, la farà da padrona.

Si abbraccia poi il ruolo determinante e scatenante delle famiglie, con pseudo principi e valori auto conclamati e le scelte, che si ripercuoteranno inevitabilmente sui figli, la loro vita e la loro identità psichica e morale. In questo continuo succedersi di contrapposizioni si affiancano anche due città: Verona e Roma, legate tra loro dall’intreccio dei personaggi, due realtà così diverse e così vicine. Verona la città dell’amore, Giulietta e Romeo, strutturata a dimensione d’uomo, e Roma, la Capitale dove si convoglia di tutto e di più, anche nelle borgate. Tutto velato dalle apparenze.

Una narrazione e approfondita descrizione di vite umane e disumane, in una quotidianità contemporanea dalle infinite sfaccettature, condite da conflitti, incertezze, ricerca di appagamento venale e morale, vie di fuga da una tragica realtà in quello che può rappresentare un sogno, un nuovo inizio: un cambiamento.

Ma come pone ben in evidenza la copertina di The Garage Man, un bel vestito confezionato è solo un involucro.

Simona Trunzo