Recensioni: “La piazza di nessuno” di Mariangela Rosato

La piazza di nessuno di Mariangela Rosato presenta già solo con il titolo, a quella che sarà la protagonista silente del romanzo: la piazza. Quest’ultima rappresenta il luogo di ritrovo e di incontro dei cittadini, sin dall’antichità, ed è di tutti e di nessuno.

Il racconto, edito da La Mongolfiera, è ambientato in Salento e consente al lettore un viaggio virtuale tra i suoi luoghi magici e quelli appartenenti a ognuno dei personaggi che vi transitano. Una piccola cornice paesana, dove il tempo è scandito dall’orologio imponente della piazza, dallo scorrere dell’acqua della fontana, dall’immobilità di una panchina che tutti accoglie: una piazza statica, onnipresente che tutto vede e tutto sente, da una generazione a quella successiva; una calma spezzata da lievi intromissioni, come quello stagionale del canto delle cicale.

Dalla staticità della piazza all’immagine dell’orologio, che si associa al tempo e al suo scorrere. Un fluire del tempo che simboleggia tante altre sfaccettature dell’essere umano; la fretta di raggiungere un obiettivo, senza rendersi conto di perdere la centralità di ciò che ci circonda, da affetti a eventi, tutto ciò che scorre intorno è nullo, la cosa importante è arrivare. Chissà dove, poi. Uno scorrere del tempo inesorabile, perché ciò che ci sfugge è andato senza lasciarne traccia. In effetti un gesto d’amore è considerato il donare il proprio tempo, che diventa dono comune e di condivisione, non rinuncia; questo comporta anche il non avere rimpianti di cose non dette o fatte.

Il romanzo di Mariangela Rosato si sviluppa in un’apparente assenza cronologica, da un avvenimento all’altro, ed è proprio questo a determinarne la peculiarità: rappresentare la quotidianità della piazza, dove tutto e tutti scorrono a loro piacimento e dove tutte le loro storie si intrecciano inevitabilmente, arricchendo così la natura stessa della piazza di infinite storie di vita, sempre pronta ad accoglierne altre.

Generazioni che si approcciano al mondo d’internet come in un viaggio avventuroso da esplorare con chissà quali scoperte inespresse, storie del passato che riemergono da una memoria recondita, ad esempio il ricordo di un amore lontano in tempo e luogo; il tutto sempre scandito dall’orologio della piazza. Ed un nuovo mondo virtuale che consente di ricercare ricordi ed eventi, o meglio persone del passato, che no si è stati in grado di trattenere con veemenza al momento giusto, ricordi che attraversano la mente come il lento scorrere della sabbia tra le mani.

Un altro elemento ricorrente, che si impone quasi come protagonista è l’estetismo: “atteggiamento del gusto e del pensiero che, in quanto pone i valori estetici al vertice della vita spirituale, considera la vita stessa come ricerca e culto del bello, come creazione artistica dell’individuo”, un’attitudine ad apprezzare le cose belle che sarà determinante nell’evolversi della vita stessa come elemento imprescindibile e caratterizzante. Affiancato alla linea del bello e dell’estetica ritroviamo anche pregiudizio, superstizione e “malalingua” che avanzano come delle amiche malevole a braccetto l’una con l’altra per insidiarsi dove tutto è sereno, con il gusto di creare scompiglio e parapiglia. Dove la fanno da padrona le differenze classiste e con una mentalità maschile dominante: a l’uomo tutto è concesso. Per approdare poi ai vincoli sentimentali di famiglia amicizia amore.

“Mai parole non furono più cristalline di Paul Celan: Quello che siamo ora / le ore lo danno al vento. / Siamo a suo gusto? / Né rumore, né luce/ scivola tra di noi / non rispondere. / O le spine, vuoi le spine, / vuoi le spine della notte.”

Simona Trunzo