Recensioni: “Ventre sepolto” di Aliyeh Ataei

“Questa città è una sposa imbellettata. Di giorno in giorno offre una facciata sempre più seducente. Anche gli uomini e le donne che ci vivono appaiono sempre più attraenti. Tutti con delle belle labbra rosse e le guance rubizze. Quanto è falsa questa città! Se uno ci passa per caso, non può nemmeno immaginare cosa faccia davvero questa gente per campare.”

Per le indiavolate strade e le infide periferie di Teheran vaga febbrilmente, come un taxi vuoto, Mani Rafat, un giovane disturbato dalle proprie turbe e dal conseguente abuso di sostanze stupefacenti. Disperato, Mani ricerca la sorella gemella, scomparsa dopo la diagnosi di una malattia congenita che non le permette di avere figli. Ma la sparizione della sorella è soltanto la minima parte di una scissione ancestrale, originata dalla placenta materna, un destino appiccicatosi sul corpo di Mani fin dal sacco amniotico, che ne altera i sentimenti e ne ha spaccato l’identità, trasformandolo in “un miscuglio non ben definito tra un maschio e una femmina”.

“No, il colpevole sono io, che nell’utero ho prevaricato su mia sorella fin dall’inizio, e lei non è diventata né femmina né maschio. […] E se mia sorella avesse capito quello che le ho fatto ed è scappata?”

È questa spaccatura interiore il tema fondante di Ventre sepolto, il romanzo della scrittrice iraniana Aliyeh Ataei uscito in Italia per le edizioni Utopia con la traduzione di Giacomo Longhi e Harir Sherkat. Scrittrice in lingua persiana, Ataei è nata nell’Iran orientale nel 1980, un anno dopo la Rivoluzione iraniana che portò alla caduta dello scià Mohammad Reza Pahlavi e alla nascita della repubblica islamica ispirata al credo dell’āyatollāh Khomeynī. Un avvenimento che ha cambiato la storia del Paese asiatico.

Senza pace, vittima di un infelicissimo legame viscerale, il protagonista del romanzo, per salvarsi, ha prodotto la propria emarginazione sociale e psichica. Momenti di angoscia e il ritorno, come una tempesta, di fantasmi del passato e di sensi di colpa si alternano nell’opera:

“Io sono speciale. Sono proprio speciale… Non fai che ripeterlo. Lo sai perché sono così? Il medico mi ha spiegato che è stata una particolare sindrome della placenta a rendere speciali me e mia sorella, nel vostro caso la placenta è rimasta da brava al suo posto e ha svolto diligentemente l’unico compito che era chiamata a svolgere, cioè nutrirvi fino a farvi diventare delle persone normali. La nostra placenta, invece, quando ha saputo del tradimento di nostro padre, ha voluto vendicarsi guastandogli i figli e poi ha spedito nostra madre in paradiso per risparmiarle il dolore di vedere che fine avremmo fatto”.

Ventre sepolto ruota attorno a questo penoso dissidio interiore che si scioglie in un monologo senza requie. A tratti onirico, il soliloquio di Mani apre la porta, fra le righe, a temi come l’eguaglianza sociale, l’emancipazione studentesca e femminile, l’emigrazione, la ricerca delle radici e di un posto nel mondo, i malesseri personali impossibili da sanare, anche per la mancanza di dialogo, l’inefficienza e la negligenza di uomini e strutture sanitarie e socio sanitarie.

Opera dal profondo carattere introspettivo, Ventre sepolto richiede al lettore uno sforzo di attenzione ulteriore, necessario quando l’oggetto in analisi è la vita stessa di un individuo spezzato, in crisi e a disagio, in primis, con se stesso, e, in secondo luogo, con il mondo tutt’attorno.

Antonio Pagliuso