Parte dal Castello di Gradara (PU) In viaggio con Dante. Tre percorsi nei luoghi della Divina Commedia, iniziativa con cui Glicine associazione e rivista culturale partecipa all’undicesima edizione de Il Maggio dei Libri.

Canto V dell’Inferno. All’ingresso del secondo cerchio sta Minosse che giudica le colpe confessate dalle anime e che, prima reticente, accoglie Dante e Virgilio. Il luogo è buio e agitato da un vento impetuoso che percuote le anime con violenza, fra grida disperate e pianti. Un movimento continuo senza speranza di sosta. È la schiera dei lussuriosi. Qui si pagano i peccati della carne, la sopraffazione della passione sulla ragione.

Ma due anime procedono insieme e, quando sono abbastanza vicine, Dante chiede di poter parlare con loro: sono Paolo e Francesca. Una eccezione concessa al Poeta permette infatti al vento di fermarsi e alla donna di poter ringraziare per cotanta pietà. Sarà lei, e solo lei, a raccontare la storia di un amore intenso che tale non avrebbe dovuto essere.

Paolo ascolta, piangendo.

“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.

Il Castello di Gradara (PU)

Foto di Gianni Crestani da Pixabay

Tradizione vuole che teatro delle sfortunate vicende che uniscono i due giovani amanti sia il Castello di Gradara. Una storia millenaria che si mescola facilmente con la leggenda, caratterizzata da intrighi, amori, lotte.

Crocevia di traffici e genti, la fortezza sorge a cavallo tra Marche e Romagna, nella provincia di Pesaro e Urbino. Dalla sua collina domina l’Adriatico da una parte e le vallate dall’altra, con una vista mozzafiato.

Le due cinte murarie che proteggono la fortezza, la più esterna delle quali si estende per quasi 800 metri, la rendono anche una delle più imponenti. La Rocca di Gradara e il suo borgo fortificato rappresentano, inoltre, una delle strutture medioevali meglio conservate d’Italia, ricca di numerosi punti di interesse. Tanto che proprio la Rocca Demaniale di Gradara risulta essere uno dei monumenti più visitati dell’Italia centrale.

Da qui il riconoscimento di Bandiera arancione, marchio di qualità turistico-ambientale, assegnata alla località che gode non solo di un patrimonio storico e culturale di pregio, ma sa offrire al turista un’accoglienza volta alla valorizzazione del territorio.

La costruzione del mastio risale al 1150, voluto da Pietro e Ridolfo – della potente famiglia dei De Griffo – che usurpano la zona al comune di Pesaro. Ma intorno al XIII secolo Malatesta da Verucchio, detto il Centenario, con bolla di Bonifacio VIII si impossessa della torre dei De Grifo e ne fa il mastio della attuale Rocca. Furono proprio i Malatesta a costruire la fortezza e le due cinte di mura tra il XIII ed il XIV secolo e a fare di Gradara il borgo che oggi possiamo ammirare in tutta la sua particolare bellezza.

Il dominio della famiglia sulla cittadina finisce nel 1463 quando Federico da Montefeltro espugna la Rocca al comando delle milizie papali. Da questo momento Gradara passerà di mano diverse volte e vedrà il susseguirsi di alcune tra le più importanti casate della penisola, tutte in lotta per il suo possesso: Borgia, Della Rovere, Medici. Questo a conferma del ruolo strategico di Gradara, teatro di importanti scontri di potere

A ridosso della Riviera Marchigiano-Romagnola, una delle principali mete turistiche del Paese, Gradara è stata anche insignita del titolo di Borgo dei Borghi 2018, aggiudicandosi la sfida finale del premio che la vedeva contendersi la gara con altri 20 suggestivi borghi italiani.

L’amore tragico di Paolo e Francesca

Gustave Doré, Paolo e Francesca. Foto da Wikipedia, pubblico dominio

A partire dai Malatesta, e nella rocca del castello, prende vita la leggenda di Francesca da Polenta, figlia del Signore di Ravenna e Cervia, e Paolo Malatesta, detto il Bello, futuro cognato di Francesca. Una favola tragica che esercita una certa malìa e, come tale, è stata negli anni infarcita di una buona dose di episodi sempre nuovi. Ma meglio non rompere la magia che ha ispirato le opere di scrittori, pittori, drammaturghi.

È nello sfortunato 1275 che, come era in uso fare, Guido da Polenta decide di dare la mano di sua figlia a Giovanni Malatesta, detto Giangiotto lo Zoppo. Anche il Malatesta da Verucchio – capostipite della casata – dà il suo benestare. Questione di alleanze dinastiche.

Per i due Signori resta solo un ostacolo: la possibile resistenza di Francesca. Da qui la decisone di ordire un crudele inganno. Mandano a Ravenna Paolo il Bello per far celebrare il matrimonio per procura, ossia a nome e per conto del fratello Giangiotto, senza informare la ragazza.

In realtà, Paolo si era già sposato giovanissimo con Orabile Beatrice. L’unione, da cui nacquero i due figli Uberto e Margherita, fu uno dei principali successi diplomatici di Malatesta da Verucchio. Si consacrava così la difficoltosa acquisizione della contea di Ghiaggiolo.

Francesca, ignara, è ben felice di procedere alle nozze, ha davanti un giovane bello e gentile. Finché la prima notte di nozze non si trova accanto Paolo, ma Giangiotto. 

L’inganno è stato scoperto, ma è troppo tardi. Ormai sposa, si trasferisce nel Castello di Gradara dove vive con Giovanni e diventa madre di Concordia. La giovane cerca di allietare come può le sue tristi giornate in solitudine trovando compagnia proprio in Paolo che, forse per rimorso o perché non indifferente al fascino della cognata, a ogni piè sospinto le fa visita con la scusa di avere possedimenti proprio nei dintorni di Gradara. 

“Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.                       
  Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.                     
  Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,                      
 la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante”.

I due divengono presto amanti, ma non sanno che qualcuno si è accorto dei loro incontri furtivi: Malatestino dell’Occhio, così chiamato perché cieco da un occhio, fratello di Paolo e Giangiotto. Malatestino decide infatti di avvisare della tresca amorosa il marito tradito.

Un giorno, Giovanni esce come al solito per recarsi a Pesaro dove ricopre la sua carica di Podestà, in realtà in città non ci arriverà; rientra al castello di nascosto e coglie i due amanti in flagrante, mentre si baciano leggendo dell’amore di Lancillotto e Ginevra.

Il maggiore dei Malatesta è accecato dalla gelosia, sguaina la spada pronto a farsi giustizia. Paolo cerca di fuggire dalla botola che si trova nella stanza, ma il suo mantello si impiglia in un chiodo e sta per essere ucciso. Francesca si mette tra i due in un ultimo disperato atto d’amore verso il suo Paolo e gli fa da scudo con il proprio corpo. Non basta.

Le mura del castello sono testimoni del massacro.

Attorno agli anni 1283-85 cadono i due sfortunati amanti Paolo e Francesca, trafitti dalla spada e dall’ira di Giangiotto Malatesta. Per lui c’è Caina, la zona del IX canto dell’Inferno in cui vagano in tribolazione gli spiriti dei traditori dei propri congiunti. 

Si conclude così una leggenda che il Sommo Poeta ha reso immortale, come i due spiriti, uniti in eterno anche nella pena infernale.

Sopraffatto dalla pietà per i due giovani e per la loro storia, Dante sviene.

“Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse.
E caddi come corpo morto cade”.

 

Foto di alex1965 da Pixabay