Censura forbici libro

Censura. In questi giorni il nostro Paese si sta interrogando sulle conseguenze sociali e sulle implicazioni politiche che essa si trascina dietro. Non staremo qui a sciorinare la solfa del potere che tarpa le ali al libero pensiero. Non è un fatto nuovo. Per tale ragione faremo qualche salto indietro nel tempo e parleremo di ieri per comprendere come l’oggi non sia altro che una copia assai meno inconsistente.

La censura della stampa periodica

Siamo nella Russia ottocentesca, lo zar è il signore incondizionato, si commercia in anime e la società è divisa in classi rigidamente distinte le une dalle altre. Eppure in questo lasso di tempo che i critici circoscrivono tra il 1825 (anno in cui esce il primo capitolo dell’Evgenij Onegin) e il 1904 (anno della morte di Cechov) la letteratura russa visse il suo più fulgido splendore; essa risalì vigorosa verso la gloria immortale e vi continua a vivere oggi, oltre quel tempo.

All’epoca, i lavori letterari si diffondevano di città in città grazie a riviste, gazzettini, pamphlet. Puškin, Čechov, Lermontov, Turgenev, Tolstoj e Dostoevskij vivevano di quelle pubblicazioni. Era su quella carta stampata a buon prezzo che si giocava la partita letteraria. Lo scontro critico e il dibattito intellettuale erano palpabili tra i fogli di giornale che, a cadenza quotidiana, dovevano fronteggiare un comune nemico: la censura.

Controllori e controllati

La censura interveniva ogniqualvolta dai periodici si diffondevano idee sovversive. I censori mettevano a tacere quelle pulsioni liberali. La censura oscurava e imponeva il silenzio. La censura non era solo politica, ma anche morale e religiosa. Čechov fu costretto a eliminare i rapporti sessuali da alcuni dei suoi racconti. Memorie di un cacciatore di Turgenev passò il controllo, ma il censore che avrebbe dovuto fermarne la pubblicazione perse il lavoro. Il compito di questi “controllori” di idee era quello di mantenere la quiete. I lettori non dovevano riflettere su nuovi concetti. Non dovevano riflettere. Tuttavia neanche i censori se la passavano bene. Ben presto si decise di istituire una commissione volta a valutare il loro lavoro. L’accusa principale alla quale erano soggetti era il reato di “mancanza di vigilanza”.

Punire i sovversivi

La repressione ideologica fu più aspra sotto Nicola I, ma gli altri zar non furono meno severi. Tra le punizioni ricordiamo quelle più leggere come gli ammonimenti o le confische dei periodici incriminati. Le pene più gravose erano la detenzione, la sorveglianza da parte della polizia e poi l’esilio. Puškin fu il primo a dover fare i conti con la censura. Ogni sua opera passava prima al vaglio dello zar, poi della gendarmeria. Il grande poeta era costretto ad accettare consigli non graditi e due dei suoi poemi videro la luce postumi: Libertà e Il villaggio uscirono a Londra nel 1856. Dopo di lui altri dovettero piegarsi innanzi alla penna dei censori. Ricordiamo, tra questi, i poemi di Lermontov Il demone e Morte di un poeta.

Dipinto di Lev Tolstoj (Pixabay License).
Dipinto di Lev Tolstoj (Pixabay License)

Tra i colpi che subì Tolstoj citiamo una scena del romanzo Resurrezione nella quale l’autore ironizza sugli uffici religiosi della Chiesa ortodossa. Le modifiche del testo furono centinaia fino alla versione definitiva raggiunta solo nel 1936, 26 anni dopo la morte di Tolstoj. Dostoevskij non fu immune, tant’è che venne esiliato. In una lettera datata 26 marzo 1864, lo scrittore si lamenta di “quei porci di censori” i quali avevano proibito l’inserimento in Memorie del sottosuolo di una parte in cui si affermava la necessità di credere in Dio. Un prezioso passaggio perso per sempre perché Dostoevskij non lo modificò.

Tra censori e censurati però spesso la linea era molto sottile. Infatti se non mancarono scrittori che accettarono l’incarico di controllare i propri “colleghi”, come fece Gončarov, ve ne furono altri che decisero di usare le cesoie sui propri scritti per prevenire le sanzioni. Sul punto, si pensi infatti che Čechov scrisse La mia vita tenendo costantemente presente che sarebbe stata pubblicata su una rivista soggetta a censura.

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Ritratto di Dostoevskij (Pixabay License)

Censura ed elusione

Non poche furono in ogni caso le tattiche per eludere i controlli. La più comune fu la circolazione clandestina dei testi: se questi non esistevano ufficialmente, nessuno avrebbe potuto censurarne il contenuto. Questo accadde a Morte di un poeta di Lermontov. O alla lettera di Belinskij a Gogol’, manifesto dell’opposizione liberale. Fu proprio la lettura di questa lettera che costò a Dostoevskij, tra le altre accuse, la condanna a morte.

Ecco, la censura è questo: è una limitazione della libertà d’espressione. Tuttavia la censura ha un potere effimero che dura solo nel momento in cui viene esercitato. Quel silenzio imposto arriva ai posteri e nel passaggio diviene suono, musica. Libertà. E, non da ultimo, Letteratura.