Intervista a Giancarlo Piacci, autore de “I santi d’argento”

Giancarlo Piacci vive e lavora a Napoli. Da più di dieci anni è uno dei librai di riferimento della città. I santi d’Argento (Salani Editore), il suo primo romanzo, è un noir che ha un incedere fermo e tenace, capace di superare gli stereotipi del genere letterario, ma anche umano, nonché quelli di una città da sempre vista come portatrice di pregiudizi e criticità. È un libro che racconta e descrive Napoli come solo un fiero e verace napoletano possa fare, da dentro, ma al contempo attraverso una visione nitida e lucida, che anche l’occhio esterno può cogliere. È una storia di cui parlare stando accanto, perché veicola ferite e fragilità, fughe e notti insonni. È un’opera prima, già pienamente e artisticamente matura. È un romanzo da leggere e rileggere, magari sorseggiando un caffè.

I santi d’argento è un noir che cattura il lettore sin dall’incipit. Procede in un percorso a ostacoli, in direzione spesso ostinata e contraria rispetto alla tradizione consacrata dal tempo e dallo spazio, tra le storture della vita perché… niente è come appare!  Il libro conquista il lettore già dalla copertina, grazie anche al contributo di Michele Zerocalcare. Si tratta del frutto un’amicizia, di un incontro o semplicemente di una collaborazione?

«Si tratta di un’amicizia di lunga data, che affonda le radici in un periodo antecedente al meritatissimo successo di Michele Zerocalcare, quando cioè disegnava le locandine per i concerti o si dedicava al suo impegno di attivista politico. Già a quei tempi il suo talento era cristallino, nitido, percepibile. Michele è anche un grande lettore, esperto in gialli. Quindi, quando il mio libro era ancora solo un manoscritto, ho pensato di farlo leggere a lui e ad altri amici appassionati di questo genere. Subito dopo mi ha scritto una e- mail, il cui contenuto è stato in gran parte ripreso per lo strillo, la quarta di copertina e la fascetta. In un secondo tempo mi sono azzardato a chiedergli anche la disponibilità per disegnare la cover e devo dire che lui non ha avuto nessun dubbio: ha accettato subito il progetto e realizzando in pochissimo tempo la copertina. Ricordo che, quando mi ha mandato la bozza, ero in un bar a Milano e sono rimasto a fissare quell’immagine per alcuni minuti, perché è veramente rappresentativa ed esprime ciò che neanche io non riuscivo a figurarmi. Dà l’idea chiara ed esplicita dei tre personaggi che camminano in una Napoli buia, verso un futuro in cui non c’è luce… ed è in effetti quello che io immaginavo per i miei personaggi, per la mia storia e in sintesi anche un po’ per Napoli: una conclusione per niente consolatoria!»

“Questo romanzo mi ha tenuto incollato come non succedeva da un sacco di tempo, perché dentro c’era la Napoli di oggi in una narrazione che non si rassegna alle semplificazioni” Zerocalcare

Intervista a Giancarlo Piacci, autore de “I santi d’argento”

Entriamo un po’ nella storia. Vincenzo Cocchiara ha 38 anni. Cerca di fuggire e dimenticare il suo passato, che però prontamente arriva, ritorna e bussa alla sua porta.

«Il romanzo è raccontato in prima persona e il protagonista è Vincenzo, che ha un passato di migrazione e di fughe. Dopo una breve esperienza lavorativa a Milano, si rifugia in una casetta nel porto di Bacoli, che è a 30 KM da Napoli. Pensa di poter trovare riparo dagli incubi che lo tormentano. Non è più disposto ad aggiungere questo carico di ulteriore sofferenza al suo passato, ma non sarà così, come scopriremo leggendo la storia.»

 

Vincenzo ha un legame forte con Napoli, al punto che sembra talvolta identificarsi in essa.

«È vero! La voce di Vincenzo è spesso sovrapposta a quella di Napoli, che io ho tratteggiato proprio come se fosse un personaggio con le sue caratteristiche e il suo carattere. È una città che ha una storia millenaria e che vive di enormi contraddizioni, difficilmente incasellabili in un unico riquadro. Questa molteplicità e inafferrabilità napoletana è quella che caratterizza anche la molteplicità delle mille vite di Vincenzo. Le innumerevoli vicende che si è trovato a gestire lo hanno reso un uomo rotto, spezzato, ma con un forte desiderio di tornare a vivere. L’emissario di un suo vecchio amico dei tempi di Milano lo va a rintracciare e lo ritrova in un bar di Bacoli, mentre beve un caffè. È stato mandato da Giovanni Testa che è in carcere da anni e che vuole far luce sulla morte di suo figlio. L’uomo non crede alla tesi del suicidio e chiede a Vincenzo di indagare e, per fare questo, Vincenzo deve tornare in città e fare i conti con i demoni del suo passato. Accetterà il compito, in quanto ha un debito di riconoscenza, ma non sarà facile ritrovare i luoghi che aveva scelto di abbandonare. Scoprirà una città mutata, che gli impedisce di orientarsi. Dieci anni sono stati sufficienti per la trasformazione.»

Napoli dove “tutto è senza barriere. Il vicolo scompone il concetto di famiglia e di proprietà. Si spazza, si lava, si mettono fiori e santini sulle urne della Madonna. Oppure si invidia sfacciatamente, si urla una bestemmia, si riparano le buche, si smista la posta. Tutto è in comune. Le litigate, la televisione, i profumi della tavola. Anche l’amore.

 

I santi d’argento è un titolo intrigante e misterioso.

«Il titolo è una delle cose su cui ho lavorato di più e che ho cambiato più volte, anche dopo aver mandato il testo alla casa editrice Salani. Gradualmente siamo arrivati alla scelta di un proverbio, scegliendolo tra quelli usati dalla madre di Vincenzo e che affonda le radici nella storia della stessa Napoli, in quella capacità che ormai appartiene al nostro patrimonio genetico, di coniugare sacro e profano, misticismo e magìa, superstizione e fede

 

Accanto a Vincenzo (il protagonista), Antonio (il pescatore che gli vuole bene come un padre), Bart (il duro malavitoso che è anche una sorta di Virgilio), Nicola (che ha una bancarella di libri da cinquant’anni e chiama tutti ‘guagliò’), ruotano diversi personaggi, anche femminili che, pur entrando in sordina, assumono poi un forte peso nella narrazione.

«In effetti nella copertina sono evidenziati solo tre personaggi maschili, mentre nella storia fanno da contraltare altrettanti personaggi femminili, che pian piano, nel dipanarsi della vicenda prendono sempre più spazio e in realtà sono quelle che muovono la trama: la nonna, la madre, Ernestina… Ci sono figure femminili che rappresentano anche il riscatto e la speranza di questa città, che sono artefici del proprio presente e che cercano di costruire con le proprie mani, con la  forza di denti e unghie, il proprio destino.»

Elisa Chiriano