È la Calabria la protagonista del nuovo saggio di Giuseppe Smorto, A Sud del Sud. Viaggio dentro la Calabria tra i diavoli e i resistenti, da poco uscito per i tipi di Zolfo, casa editrice con sede a Milano, ma con grande identità meridionale.
Il lavoro di Giuseppe Smorto, già vicedirettore de “La Repubblica”, ci aiuta a riflettere sull’oggi e il domani di una regione che non è spacciata, perlomeno non quanto la cronaca e un certo giornalismo sensazionalista vogliano farci credere, e lo fa attraverso le voci di grandi esempi di resistenza, non gli unici ma tra i più rappresentativi del territorio, come la Comunità Progetto Sud, con presidente Giacomo Panizza, e GOEL – Gruppo Cooperativo, con presidente Vincenzo Linarello. Reazioni dal basso di una regione in perenne lotta con se stessa e i suoi denigratori, esterni e interni, di una terra abituata a stanziare nei bassifondi delle classifiche sulla qualità della vita sia in Italia sia in Europa.
A margine della presentazione del libro avvenuta il 17 luglio presso il salone dell’Oasi Bartolomea di Lamezia Terme, abbiamo intervistato l’autore.
Giuseppe Smorto, il suo volume A Sud del Sud, “un itinerario di non rassegnazione”, espone il risveglio di una terra e di un popolo stanchi di balzare agli onori – o disonori – della cronaca soltanto per episodi di malavita, malasanità, malaffare. Dal Tirreno allo Ionio, dal Pollino all’Aspromonte, qual è invece la Calabria, questa terra perennemente in fuga da se stessa, citando Corrado Alvaro, che vuole raccontare?
«È una regione a macchie, in chiaroscuro, purtroppo raccontata solo nella sezione della cronaca nera. Io ho fatto un viaggio da cronista per conoscere associazioni, imprenditori, volontari, universitari, operatori culturali che cercano una strada e un futuro qui. Del resto, i calabresi partono in cerca di fortuna da quasi 150 anni, sarebbe ora di invertire la tendenza. So benissimo che non è facile, ma molte esperienze che ho citato nel libro danno forza. Altre ancora le sto scoprendo andando in giro a presentarlo. Spero che fra cinque anni questo libro sia inutile: oggi invece ha un senso, perché racconta realtà spesso ignorate dagli stessi calabresi.»
Nel suo lavoro parla anche dei luoghi abbandonati della nostra regione; non solo i borghi fantasma – che hanno un loro fascino –, ma pure le strutture come l’ex zuccherificio di Sant’Eufemia Lamezia, la cui gigantesca carcassa giace lungo la strada che va all’aeroporto di Lamezia Terme da oramai sessant’anni.
«Per me lo zuccherificio è un monumento all’abbandono, sta su una grande arteria della città, impossibile non notarlo. Io ne sono stregato, mi fermo ogni volta davanti a quella scritta/murale “La razza umana ha fallito”. Mi pare incredibile che non sia ancora stato abbattuto, a sessant’anni dalla sua chiusura. Ma la stessa sensazione me la provoca la ciminiera/torre della Liquichimica, a Saline, sulla jonica reggina. Una fabbrica costruita negli anni ’70 che non ha mai aperto, che ha devastato un tratto di mare stupendo. Oggi intorno a quella ciminiera volano i fenicotteri rosa di una vicina zona umida. Il riscatto della Calabria passa anche attraverso l’eliminazione di questi scempi e la rioccupazione degli spazi. La Calabria è piena di luoghi abbandonati, di territori confiscati che devono vivere, che possono portare lavoro e servizi.»
Il suo è un libro che non è dedicato direttamente ai calabresi. È destinato soprattutto a chi calabrese non è e, in un certo senso, va indottrinato circa la nuova narrazione della nostra terra.
«Ho scritto questo libro per i non calabresi, sono contento di averlo fatto con un editore di Milano. È un modo, o meglio un tentativo, di fare conoscere l’altra faccia della nostra regione. Che non è perduta, anche se questo passa nell’immaginario del Paese. Ma se una città calabrese ha un terzo di risorse rispetto a una del Nord, non basta la ’ndrangheta a spiegare le ragioni di questa ultimità. La Calabria è rimossa, spesso dimenticata: questo libro è un fiammifero nel buio.»
Antonio Pagliuso