Recensioni: “C’è un cadavere al Bioparco” di Walter Veltroni

C’è un cadavere al Bioparco! E più specificatamente tra le fauci dell’enorme anaconda ospitato dal giardino zoologico della Capitale. È una morte raccapricciante e misteriosa quella su cui dovrà indagare il commissario Buonvino in C’è un cadavere al Bioparco, il nuovo giallo di Walter Veltroni appena pubblicato per i tipi di Marsilio.

È più facile o difficile raggiungere centomila elettori o centomila lettori? Una domanda insidiosa, alla quale però sicuramente saprebbe rispondere Walter Veltroni, trasformatosi da politico – e che politico!, nel suo curriculum, tra gli altri, compaiono una vicepresidenza del Consiglio dei ministri e una sindacatura di Roma – a uno dei narratori più letti e apprezzati degli ultimi anni.

Un successo rinnovato da C’è un cadavere al Bioparco, il nuovo romanzo, pubblicato da Marsilio nella collana Lucciole, della trilogia poliziesca che vede protagonista il simpatico – non una caratteristica diffusa tra i poliziotti del giallo italiano – commissario Giovanni Buonvino.

Il giallo al centro di C’è un cadavere al Bioparco

Cosa attende Buonvino e la sua sgangherata squadra di agenti nel nuovo romanzo di Veltroni? Un caso molto spinoso, quanto l’ultimo da poco risolto, quello del bambino svanito nel nulla protagonista di Buonvino e il caso del bambino scomparso (tra i libri più belli del 2020 secondo Glicine): al Bioparco di Villa Borghese, a pochi passi dal commissariato, viene trovato il corpo senza vita di un uomo; rinvenuto completamente nudo, nel rettilario, all’interno della teca che ospita l’anaconda, con la testa finita dentro i visceri del gigantesco serpente.

Una morte raccapricciante, specie per gli occhi di Buonvino che è per giunta erpetofobico dall’infanzia, vale a dire morbosamente terrorizzato da tutti i rettili, dalle innocue testuggini fino agli spaventevoli anaconda, da quel loro essere così melliflui e trasformisti, caratteristiche che il buon Buonvino abborrisce anche negli esseri umani.

I dirigenti e i guardiani del Bioparco sono atterriti dall’accaduto, parimenti al commissario non sanno spiegarsi come possa essere finito un uomo nella gabbia del rettile, quel bestione capace di ingoiare in un sol boccone un giaguaro intero. Le telecamere, direzionate verso altre aree della struttura, non risultano utili, e dall’analisi svolta su porte e teche non emerge alcun segno d’effrazione.

Pare proprio che il cadavere, del quale si fatica anche a definire l’identità, sia entrato da sé nell’area dei rettili, si sia autodecapitato (con che cosa non è dato sapere considerato che nel rettilario non si trova alcuna arma) e abbia gettato le proprie spoglie addosso all’anaconda. Oppure, ipotesi più verosimile, che il suo corpo sia stato portato lì da una persona che conosceva perfettamente spazi, orari e funzionamento della struttura. Un esperto fantasma capace di non lasciare nessuna traccia di sé.

Il commissario Buonvino si sposa

Alle indagini e al percorso di risoluzione del caso, si sovrappone la vita privata di Buonvino. Il funzionario – più disinvolto e spregiudicato rispetto ai precedenti episodi –, infatti, è prossimo a convolare a nozze con l’amata Veronica, sua agente e anima gemella, affine in tutto e per tutto, persino circa la passione per i gatti – presenti nella storia anche i memorabili Gullit e Rijkaard – e per il Milan, la sua squadra del cuore, ritornata a esprimere un calcio apprezzabile dopo anni di miserie.

Sono tanti i riferimenti alle birbonerie e ai vizi del nostro tempo, lanciati da Walter Veltroni con i suoi usuali sagacia e umorismo. Siamo infatti ai giorni nostri, il nostro tempo così “violentemente rumoroso e soavemente effimero”, oscillante tra i temi dell’estenuante politicamente corretto e dell’inconsistente cultura della cancellazione, tra una televisione che propina femmine urlanti e dalla parte della ragione soltanto perché femmine e maschi che devono fare la figura dei mammalucchi e incassare senza replicare perché maschi. Mancano solo i complottisti e gli anticomplottisti, uniti dalla comune decisione di rinunciare alla ragione, i cortei no green pass e gli esagitati che vengono marchiati come fascisti, ma che con chiarezza non saprebbero neppure se il fascismo sia stata una corrente politica e ideologica del 1900, 900 o 900 a.C. Per dire.

In questo marasma, il commissario Buonvino giungerà comunque brillantemente alla risoluzione del rompicapo. Come per i primi due romanzi della serie, anche in C’è un cadavere al Bioparco Walter Veltroni omaggia l’amata città di Roma e celebra le sacrosante diversità degli animali – per quel che riguarda l’aspetto, la cultura, i bisogni, le abitudini, i comportamenti – e quindi degli umani, entro i quali, anzi, oltre i quali, talvolta, alberga l’irrazionalità, la degenerazione, il fuori dall’ordinario.

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Ci attende un nuovo episodio della serie?

Un’ultima nota. All’inizio di questo commento abbiamo parlato di trilogia: be’, abbiamo commesso probabilmente un errore perché le avventure del commissario Buonvino non possono decisamente concludersi con il finale di C’è un cadavere al Bioparco

Antonio Pagliuso