Recensioni: “Dove finisce il mare” di Laura Montuoro

Nelle pagine di Dove finisce il mare, Laura Montuoro racconta una storia diretta, di rinascita, oltre le paure dell’avventura umana e l’orizzonte del mare.

“Il cielo si tingeva intanto di viole e arancio, preparandosi ad accogliere il sole. Si sentirono chiamati entrambi ad assistere alla sua rinascita oltre l’orizzonte, là dove finisce il mare.”

Se non avessimo neppure sfogliato il libro e fossimo votati alla solita necessità di etichettare ogni cosa, diremmo che, con tutta probabilità, il romanzo che abbiamo fra le mani è un instant book, ricorrendo infelicemente a un banale vocabolario anglosassone.

Il titolo è Dove finisce il mare e la nostra mente si focalizzerà soltanto sulla parola “mare”, che d’altra parte è pure raffigurato sulla copertina – una soffice sabbia dorata, una dolce curva di spuma, un mare azzurro in cui è pronto a tuffarsi il sole. È mare, è estate, il libro è una “lettura estiva”, fuori stagione ora, dunque, che siamo nel bel mezzo dell’inverno. Stop.

Un libro senza scadenza

E invece no, perché Dove finisce il mare di Laura Montuoro è un romanzo che di scadenza non ne ha – caratteristica di tutti i buoni libri – e una sua lettura sotto un piumone o dinanzi un caminetto crepitante, anziché pieds dans l’eau ricoperti di crema solare al cocco, non ha alcuna controindicazione.

Romanzo vincitore dell’VIII concorso letterario nazionale di Book Tribù e ora edito per la omonima casa editrice, Dove finisce il mare racconta una storia diretta, rivolta a una vasta e multiforme platea di lettori.

La paura di vivere

Protagonista di una vita all’apparenza regolare e rispettabile, Lele è un uomo introverso, un uomo interrotto, che nasconde dentro sé diversi sospesi: i rapporti con due donne, quello col figlio, un rigido senso del dovere che sovente lo rende inerte rispetto agli imprevisti e ai mutamenti che deviano il corso della vita, il disegno immacolato che avevamo tracciato. È il suo passato e pure il terrore di sbagliare ancora e di non ritrovarsi più che lo impietriscono. Lele sembra così consegnarsi a una piatta apatia, a una pavida accidia, alla rassegnazione di lasciarsi vivere, non vivere.

Fra i tanti temi che percorrono il romanzo di Laura Montuoro, senza dubbio occupa una posizione di rilievo l’incomunicabilità, imperfezione peculiare degli esseri umani – che dovrebbero essere animali sociali, pare –, ampliatasi negli ultimi decenni, e paradossalmente considerato che ci troviamo in una epoca in cui mai come adesso è stato così facile comunicare con gli altri.

Liberarsi dal timore per rinascere

Affrancarsi dalle paure, liberarsi dalle nostalgie e dai timori dell’avventura umana sembra essere il messaggio contenuto nel volume; farlo ispirati dal mare, confine libero fra acqua e aria, fra cielo e abisso, luogo di nessuno e di tutti, orizzonte di storie, scambi, dinamicità e contaminazioni. Universo equoreo da cui “arriva morte e vita”, citando la poetessa Giusi Verbaro, in cui trovare la propria rigenerazione, ché in mare la remissiva staticità degli esseri umani non può avere ragione di esistere.

Antonio Pagliuso