Recensioni: “Pelleossa” di Veronica Galletta

Pelleossa, il nuovo romanzo di Veronica Galletta uscito per minimum fax, è un Grande Cunto, che chiede di essere narrato, mentre i pinsèri ntorcinati, come i rami dell’alivo saracino, si dipanano e si svelano.

È una storia che inizia in una sera di luglio del 1943, ma ha anche altri incipit. Nasce da una canzone dei Virginiana Miller; da Filippo Bentivegna, che vive rinchiuso nel suo giardino incantato; dal teatro della memoria di Sciascia con frammenti e pietruzze che diventano la parte maggiore dell’insieme; dall’opera di Pitrè; dalla Casa Verde; da un segreto attorno al quale ruota tutto, ma del quale non si parla mai. Nasce e nel tempo cresce con i luoghi e i personaggi (oltre cinquanta) che riempiono le pagine. Pelleossa ruota attorno ai silenzi, al non detto, a ciò che si cela dentro e dietro le parole, perché Paolino è un bambino pauroso e, prima di conoscere il mondo, vuole sentirselo raccontare.

Nasce sotto lo sguardo dei numi tutelari, che sostengono e guidano: Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Verga, Bufalino, Vittorini e anche Collodi. Paolino Rasura quella sera di luglio del 1943, quando questa storia accuminciò, aveva sette anni e quattro mesi, che a pensarci bene nun sù accussì picca per afferrare certe cose del mondo, come quelle che sarebbero accadutePer tutti quanti, persino per i suoi familiari, è un po’ strano. Non vuole vedere il sangue dei pesci e non vuole andare a pescare con il padre e il fratello maggiore. Preferisce fantasticare, fare domande e poi lasciarsi estasiare dalle risposte. Per questo i suoi compagni lo chiamano Ncantesimo e Paolino sa che un soprannome a Santafarra lascia il segno per sempre. Infastidito da quell’ingiuria, decide di affrontare una prova di coraggio: andare nel giardino di Filippu, considerato il pazzo del paese, l’unico che gli dirà Non m’anteressa a cu apparteni e che diventerà suo amico.

Nel frattempo cresce e con lui aumenta l’amore per le parole, che a volte rimangono impigliate fra le ciglia, perché tutte le cose necessitano di uscire al momento opportuno.

Le parole sono le vere protagoniste del romanzo. Scritte in una lingua strana, impastata di cultura e sonorità antiche, scelte una per una, perché siano lisce all’orecchio come la pietra morbida di certe cattedrali del barocco. Una lingua unica e nuova, arcaica e moderna, fonetica e musicale, senza nessuna pretesa filologica o accademica; una lingua plasmata, impregnata della tradizione letteraria isolana; un impasto di italiano e dialetto. Una lingua che viene creata, costruita pagina dopo pagina.

Il presente e il passato convivono e sembrano toccarsi a Santafarra, un paese come tanti (anche se a ogni paìsi ci pare di essere l’unico), che si allunga sul mare come una ciucertola. Luogo inesistente, ma vere sono le storie che custodisce e la Storia che lo attraversa. Ci sono storie uniche da scolpire nella memoria, come fa Filippu, che trascorre il suo tempo a realizzare teste di pietra, perché scolpire ferma il tempo e le persone, se no cangiano. E quando cangiano, cangiano sempre peggio.

Veronica Galletta, già finalista al Premio Strega 2022 con Nina sull’argine, dà vita a un libro che coniuga suoni e silenzi, fiaba e realtà, identità e dignità. Attinge allo scrigno fiabesco della tradizione, a qualcosa di misterioso e ancestrale, e lo rigenera. Racconta la verità da un altro punto di vista, quello degli umili, di chi sta a i margini: la società patriarcale nella Sicilia del 1943, la voglia di libertà; la guerra, l’arrivo dell’Americani, La Liberazione, che passa come uno scirocco, che si sa quanto dura, tre, sei o nove iorna, e poi tutto come prima; il Referendum, le prime lotte contadine per l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate dei grandi latifondisti; la Sicilia, i ritorni, i lutti, i rimorsi, gli slanci, l’amore, le domande taciute, le lettere mai recapitate; la terra e i padroni; il paese, le famiglie; quello che c’è al di là del mare e quello che si nasconde nelle grotte; il sale e il sole di Sicilia.

Pelleossa è una sfida continua per chi scrive e per chi legge. È la convergenza di doppie dimensioni realtà e fantasia, paura e coraggio, tradizione e innovazione linguistico-letteraria, storia e finzione. È una sfida per Paolino e per la sua giovane età, una sfida tra il tempo e la storia perché… c’è tempo per tutto, anche per una storia che bisognava cuntare.

Elisa Chiriano