Recensioni: “Guerra” di Louis-Ferdinand Céline

Fitta è la nube d’incertezza che ha da sempre avvolto i romanzi di Louis-Ferdinand Céline e la liceità circa la rievocazione negli stessi delle vicende che hanno segnato l’impavida esistenza dell’autore. Non v’è dubbio, però, che molto della vita dello scrittore nato nel 1894 nell’Île-de-France ha influenzato i suoi scritti – e forse pure viceversa.

Continua il fracasso di Céline, reboante come una scarica di artiglieria. A sessant’anni dalla morte approda in Italia un eccezionale inedito di Louis-Ferdinand Céline (al secolo Louis Ferdinand Auguste Destouches), frutto dei manoscritti rubati dall’appartamento dello scrittore durante la liberazione di Parigi (dopo la quale, a causa delle posizioni affini alla Germania nazista e delle accuse di antisemitismo – tendenza traboccante come lava in Bagatelle per un massacro –, vivrà in esilio in Danimarca); questa è la volta di Guerra, racconto in gran parte autobiografico ambientato nel corso della Grande Guerra – questo tema, assieme ad altri riferimenti, fra nomi dei personaggi, luoghi e brani musicali citati, lo lega al celebre Viaggio al termine della notte, a Morte a credito e a Casse-pipe –, durante la quale il futuro medico e scrittore, allora giovine e ardimentoso volontario dell’Esercito di terra francese, riportò una brutta ferita al braccio e con tutta probabilità una lesione cerebrale, causa dei terribili mal di testa che condizionarono il resto della sua vita.

Per l’accadimento, avvenuto su un campo di battaglia in Belgio il 27 ottobre 1914, Céline fu decorato con la medaglia militare e con la Croce di guerra. Ed è in mezzo ai colpi di artiglieria che vengono inaugurate le pagine di Guerra, pubblicato lo scorso anno in Francia da Gallimard e arrivato dall’altra parte delle Alpi grazie a Adelphi e alla traduzione di Ottavio Fatica.

Morte e guerra al centro dell’opera di Céline

Il primo degli inediti di Céline rocambolescamente riemersi nell’estate del 2021 in sostanza è un resoconto con al centro i due temi ricorrenti dell’opera céliniana, vale a dire la morte e la guerra. Tematiche affrontate con il ben conosciuto piglio graffiante, da impenitente fanfarone, e con sottile tocco critico e autoironico.

L’assordante rumore di Guerra

Lo scrittore francese ci porta nelle lunghe e grottesche giornate – e nottate – di un affollato ospedale militare, in cui trovano ricetto uomini sciancati, rabberciati alla bell’e meglio, taluni sulla via di guarigione, talaltri agonizzanti e prossimi all’oblio nel loro misero ruolo di carne da cannone di una guerra che tutti, da qualche decennio, stavano aspettando, scoppiata finalmente – e proprio il caso di dirlo – dopo il casus belli dell’attentato di Sarajevo ai danni dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e della consorte Sofia.

Una umanità disperata saetta fra le corsie dell’ospedale da campo: una infermiera perversa fino alla necrofilia, un cappellano che più che per infondere speranza nei moribondi li visita giornalmente per non fare mancare loro l’estrema unzione. Ma Ferdinand – alter ego di Céline e voce narrante del testo – e gli altri soldati non hanno alcuna intenzione di crepare, anzi, fanno di tutto per sentirsi – prima che vedersi – ancora vivi, ché “finché c’è vizio c’è piacere”. E di fatti è la masturbazione di quel poco di carne che ancora risponde ai palpiti della vita il pensiero fisso nei cameroni dell’ospedale, la sola via di fuga dall’orrore delle bombe.

Un lavoro primigenio ed esuberante

 “Nel rumore in fondo alla mia testa erano pigiate assieme tutte le ruote, tutte le carni, tutte le idee della terra.”

Quella di Guerra è una lettura convulsa, scandita dai fragorosi e insistenti ronzii dentro il cranio di Ferdinand e che lascia in eredità formidabili scene come quella sessuale-voyeuristica del protagonista che assiste al veemente accoppiamento di una giovane prostituta con un instancabile soldato scozzese in kilt: “Mi chiedevo se non avrebbe finito per scannarla”. Una scena campale e letteralmente vitale, che stride con l’atmosfera funerea e malandata che permea gran parte dell’opera. Oppure che sublima sia l’una che l’altra dimensione.

Guerra è senza dubbio una prima stesura che Céline avrebbe revisionato e limato più volte, ma che in questa sua versione primigenia e nature ci pone dinanzi all’“esuberanza lessicale” dello scrittore e contiene in grembo tutte le tematiche al centro del lavoro artistico di quello che è stato uno dei maggiori innovatori della letteratura del Novecento, il cui rumore “non finirà mai più”.

Antonio Pagliuso