Il ragazzo di guttaperca di Dmitrij Grigorovič viene pubblicato per la prima volta nel 1883

Il ragazzo di guttaperca non è mica sempre stato così. Prima era un bambino come tutti gli altri, era semplicemente Petja.

“Ma più corretto ancora, in fondo, sarebbe stato chiamarlo ragazzo infelice. La sua storia è molto breve. E come potrebbe mai essere lunga e complessa, visto che aveva appena compiuto gli otto anni!”

La storia narrata da Dmitrij Grigorovič, e pubblicata da Edizioni Croce, si apre il quinto giorno di Maslenica, festa di origine pagana solo successivamente legata alla settimana che precede la Quaresima.

Cinque giorni di festa e di eccessi gastronomici fanno da sfondo alla vita del circo. Da qui cominciamo a scoprire le disavventure del piccolo Petja, Il ragazzino riccio, biondo ed esile – rimasto orfano in tenerissima età – arriva al circo di Pietroburgo e, dopo le prime reticenze, viene preso come allievo dello spietato acrobata Bekker.

Comincia allora un nuovo percorso: quello della formazione circense. Sottoposto a esercizi estenuanti per poter sviluppare la flessibilità del corpo, il protagonista diventa il ragazzo di guttaperca. Ma è prigioniero del circo, al pari dei cani e dei cavalli ammaestrati. Come gli animali, il ragazzino viene liberato solo per poter prendere parte agli allenamenti o per esibirsi.

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È una continua pena, fisica e morale. Tanto più che il maestro non riesce a provare nei confronti di Petja alcun tipo di affetto, preferisce bere le sue birre e infliggergli punizioni corporali.

Può contare esclusivamente sull’affetto di Edwards, un clown debole e sull’orlo di un ennesimo crollo, che di tanto in tanto riesce a fargli risparmiare qualche dolorosa punizione. Per i figli del Principe Listorimov, invece, il circo rappresenta una ricompensa per essersi comportati bene. Non possono sapere cosa si cela dietro il numero difficilissimo in cui il ragazzo di guttaperca si esibirà per soddisfare la loro curiosità. Ma Petja non è pronto, e non lo sarà mai.

“Al mattino seguente, la locandina del circo non annunciava più gli esercizi del “ragazzo di guttaperca”. Il suo nome non fu più ricordato.”

Il ragazzo di guttaperca e la critica alla società ottocentesca

Il romanzo di Dmitrij Grigorovič, seppur breve, è un testo ricco di spunti cui molto hanno contribuito la sua vita e formazione che vanta, tra le altre, la conoscenza e amicizia con alcuni dei maggiori esponenti del mondo letterario dell’epoca, tra cui Fëdor Dostoevskij.

Il testo presenta contrapposizioni forti raccontate con semplicità e buona dose di corruccio. I giorni di festa descritti dall’autore, i bagordi, la consumazione smodata di bliny, ben si oppongono all’immagine che ci restituisce del clown Edwards.

Perseguitato da attacchi di tristezza, dalla consapevolezza che ogni lotta sia inutile; preso dall’angoscia, diventa cupo e introverso. In quei momenti, più che mai, la calzamaglia con le farfalle, la parrucca rossa, il viso camuffato dalla cipria altro non sono che una maschera insopportabile. Lontano dalle risate spontanee del pubblico.

Ancor più nette emergono le differenze attraverso le minuziose descrizioni degli ambienti nei quali si svolgono le azioni. Alle abitazioni fatiscenti che hanno ospitato il piccolo Petja, spesso ridotto a girare con vestiti lerci e scarpe rotte, si contrappongono gli sfarzi nobiliari di cui sono circondati Veročka, principessina Listomirova, e i suoi capricciosi fratelli. Stanze con moquette e carta da parati, colme di giocattoli a cui nessuno baderà. 

Dopo un lungo silenzio letterario, Grigorovič torna con Il ragazzo di guttaperca per raccontare il dramma di una infanzia martoriata che non nasconde, in linea con la tradizione del romanzo ottocentesco, una forte critica sociale. Per questo dà voce a Petja, il ragazzo di gruttaperca – flessibile, elastico – povero, solo e senza alcuna speranza.

Non avrà mai, al contrario degli altri, una giovinezza privilegiata, ricca di cure, attenzioni continue per proteggerne la serenità e lasciar fuori le brutture del mondo. Lo scrittore, però, sente il dovere di raccontarle, di parlarci del sentimento di benevolenza e affetto verso gli esclusi della società.