Recensioni: “Il tarlo” di Layla Martínez

Lucido e oscuro, quasi onirico, antico e attualissimo, Il tarlo è il titolo del romanzo d’esordio della scrittrice spagnola Layla Martínez, pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera.

Nella periferia spagnola sorge una casa, viva e senziente. Non è una casa che accoglie, che abbraccia, ma una trappola che “piomba su chiunque attraversi la porta e gli strizza le budella fino a togliergli il fiato”.

“Un luogo non adatto agli uomini, né all’amore, né alla speranza”, direbbe Shirley Jackson. Un luogo da cui non si può scappare.

È lo scrigno che racchiude la storia di una famiglia, storie di rancori, di classi sociali e ancora di violenze, vendette e stregonerie.

È la storia della casa e delle donne appartenenti alla famiglia materna dell’autrice, che decidono di vendicarsi dei soprusi subiti da generazioni e che godono dell’ausilio dei fantasmi. Non c’è posto per l’amore e ancora meno per gli uomini, che inesorabilmente finiranno consumati dalla bramosia della casa.

“La famiglia è questo, un posto dove in cambio di un tetto e un piatto caldo resti intrappolata con un pugno di vivi e un altro di morti. Tutte le famiglie hanno i loro morti sotto il letto, solo che noi i nostri li vediamo.”

E ben ritroviamo in questo primo romanzo di Layla Martínez, Il tarlo, pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera nella traduzione di Gina Maneri, le atmosfere della letteratura gotica e della stessa Jackson.

Un horror lucido, raccontato a due voci, quasi come un sogno, dalle protagoniste di questa storia, le uniche abitanti – insieme alle ombre dei morti – della dimora: una nonna e una nipote. La nipote torna a casa dopo un periodo di detenzione, accusata di un orribile delitto, l’ultimo di una lunga serie di sparizioni, avvenute tra equilibri precari che oscillano tra bene e male.

Il dialogo che si apre tra le due donne è carico di un livore incrostato, sedimentato da anni e anni di rabbia incontenibile che affonda le radici nella casa stessa. Un rancore antico ammantato da apparenza, forse dovuto al tarlo che avevano dentro, un rodimento malvagio che non consente mai di trovare requie, ma che in realtà cela un profondo legame.

“In questa casa non si ereditano soldi o anelli d’oro, o lenzuola ricamate con le iniziali, qui i morti ci lasciano solo i letti e il risentimento. Il cattivo sangue e un posto dove stenderti la notte, solo quello puoi ereditare in questa casa.”

La casa al centro de Il tarlo di Martínez è stata costruita dal bisnonno, cresciuto nella povertà e sottomesso ai padroni di turno, ma che, al colmo della sopportazione, a causa delle offese subite, decise di diventare lui stesso un padrone, corrompendo con false promesse delle povere donne e arricchendosi costringendole a prostituirsi.

La sventurata donna scelta come moglie non ebbe un destino migliore delle povere prostitute. Fu prigioniera anch’essa, ma in quella dimora maledetta, costruita con denaro sporco, dove cominciò a esser circondata dalle ombre che si fondevano e si confondevano nella casa. Ombre che poi diventeranno sue amiche e complici.

Arriva la guerra e il bisnonno scompare: la casa comincia a pretendere il suo tributo. Le pareti della casa sussurrano, consigliano, insinuano… le sante appaiono sulle pareti della casa e gli armadi fagocitano esseri umani per risputarli in forma di ombre. I morti vengono seppelliti al contrario, con i piedi dalla parte della lapide per evitare che ritornino.

Le maldicenze e le cattiverie della gente del paese vicino sono ormai divenute all’ordine del giorno, anche se poi le persone non esitano affatto a chiedere l’aiuto delle donne della casa, per risolvere beghe familiari o per avere informazioni sui propri cari defunti, con l’ausilio di preghiere o fatture. Che gli importava se si rivolgevano ai diavoli o alle Madonne?

Si arriverà all’epilogo della storia con il tarlo che avrà inesorabilmente consumato petto e mente di nonna e nipote, come l’assillo che prende il cavallo sempre sul punto di imbizzarrirsi, e che alla fine non potrà fare a meno di sottrarsi al logorio, al grat grat grat… Ed ecco, infine, che la nipote, ultima discendente, insieme alla nonna, ordirà la vendetta che la casa, il sangue, la famiglia brama.

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Layla Martínez riesce a tenere alta la tensione incollando il lettore dalla prima all’ultima pagina del romanzo, raccontando storie passate che si riverberano inevitabilmente nel presente, affrontando temi mai scontati e quanto mai attuali, come la questione di classe, la violenza patriarcale, la povertà e la rivalsa.

Emanuela Stella