Recensioni: “L’arazzo algerino” di Antonio Pagliuso

L’arazzo algerino di Antonio Pagliuso, un titolo che istintivamente può indurre a un’ambientazione in paesi lontani, invece invita ad andare oltre e riflettere sul significato intrinseco dello stesso arazzo: “si esegue a mano in modo che i fili, che ne costituiscono la trama, formino un disegno figurato”. E ancor più l’arazzo risulterà essere protagonista e testimone silente e passivo degli eventi.

La narrazione porta il lettore in un paese del sud dal nome Longadonna, accompagnandolo in questo viaggio sin dall’introduzione narrativa: quasi un viaggio nel viaggio. Protagonista una famiglia francese che si è trasferita nel borgo per raggiungere la nonna, ormai vedova, trasferitasi a suo tempo per l’amore della sua vita. La loro storia si intreccerà con quella di altri personaggi del luogo, offrendo più spunti di riflessione durante la lettura.

“Non esiste condizione alla quale l’essere umano non possa abituarsi”, riferito allo spirito di adattamento attraverso cui un individuo si adegua all’ambiente modificando i propri schemi e operando sull’ambiente stesso; è ciò che accade continuamente a ogni persona che vive una situazione nuova e la reazione a essa è quasi sempre immediata, addirittura istintiva. I personaggi del romanzo, pubblicato da Dialoghi, vivranno a catena questa esplosione di avvenimenti che cambierà e condizionerà il loro quieto vivere.

Il pregiudizio, tema centrale de L’arazzo algerino

Il giallo pone rilievo a una riflessione che sempre più si palesa nel sociale: il pregiudizio: opinione preconcetta, che provoca atteggiamenti ingiusti, causata dall’incapacità o dalla non volontà di andare oltre, di cercare la verità o comunque creare un proprio pensiero pertinente. Il pregiudizio si è insinuato nel pensiero comune come una normalità, pigrizia al non ragionamento; questo è un crimine mascherato che condiziona la vita sociale di tutti o ancor peggio determina la vita di una singola persona con una causa-effetto non sempre positiva. C’è un pregiudizio protagonista e altri meno evidenti su cui riflettere.

La verità: perché se ne ha così paura? Non l’afferriamo neanche quando è a portata di mano, come un elemento pronto a rompere ogni equilibrio, anche quello individuale: come un caos imprevedibile e impenetrabile, che sì, causa disordine e disorientamento, ma poi si ristabilizza in una nuova fase di stabilità, arricchiti dalla consapevolezza personale e di ciò che è circostante: la verità contro il pregiudizio, una nuova lotta tra bene e male.

“Inquietudine improvvisa”, una sorta di premonizione che “si insinua tra le pareti del cervello, un tormento di cui non conosceva la natura né l’origine”. I legami affettivi fanno sentire in anticipo sensazione di quello che avverrà, in modo subdolo, perché non consente poi di cambiare le sorti di ciò che sta per accadere e se ne diventa vittime passive: un’inquietudine che anticipa gli eventi ma non ci dà nessun potere su di essi.

Un dolore paralizzante

Il dolore della perdita improvvisa di chi si ama, un dolore che si insinua in modo viscerale e stordisce ogni capacità cognitiva sensoriale: uno stordimento non inebriante, bensì paralizzante, un dolore che rende “incapaci di relazionarsi in una realtà che si sentiva sempre più estranea”. I sentimenti espressi dai personaggi, appartengono al vissuto di chiunque, ognuno può rivedersi e relazionarsi in un personaggio, in una determinata emozione di gioia o dolore, o in un particolare ruolo sociale.

Perché leggere L’arazzo algerino? Perché tutto è ben descritto e velato, sì velato non celato; perché la regia è ben ordita e l’intreccio della trama è tutto da scoprire.

Simona Trunzo