Recensioni: Malavuci di Antonella Perrotta

“Questa è una storia portata dal vento.” Così comincia Malavuci (Ferrari Editore), secondo lavoro letterario di Antonella Perrotta. I fatti si svolgono a San Zefiro, luogo immaginario dell’entroterra calabrese, creato dall’autrice evocando Zefiro, il vento che spira leggero da ponente. Ed ecco che lo sentiamo arrivare, prepotente, il vento delle maldicenze, il vento che racconta segreti che forse sarebbe stato meglio restassero celati per sempre.

“Ascolto i suoi sussurri, i suoi lamenti, le sue urla che sanno oltrepassare la barriera del tempo e scomporre e ricomporre voci che raccontano storie di assassini, di puttane, di preti, di magare, di forestieri, di pace, di guerra, di miseria, di malattia.”

Corre l’anno 1919. Conclusa la Prima guerra mondiale, l’influenza Spagnola non risparmia il piccolo paese di San Zefiro; qui l’ignoranza porta alcuni a pensare di potere combattere l’epidemia con gli scongiuri poiché la sciagura viene considerata frutto di un sortilegio, di una magarìa. Sull’onda della superstizione, parte così una caccia alle streghe che cerca un capro espiatorio per placare l’insana paura, frutto, come sempre, delle malavuci, dei pregiudizi e della incapacità di saper affrontare la realtà.

Il paese fa da palcoscenico ai personaggi di una tragica commedia umana, ognuno con i suoi scheletri nell’armadio, tutti sottomessi all’ipocrisia e soprattutto al pregiudizio.

I personaggi di Malavuci

Un dramma familiare intriso di ironia amara che racconta la storia di Caterina, donna che si presenta inizialmente di una pochezza sconcertante e che si tramuta, via via, in un personaggio di rara cattiveria, e che narra pure di suo marito Antonio Bellosguardo, costretto dal senso del dovere a un destino di infelicità. Una famiglia certamente agiata che da generazioni svolge l’attività di carriamorti.

In Malavuci si intrecciano storie di magare e magarìe, di prostitute per necessità. La storia tragica di Lela, colpevole d’essere una forestera, e Sasà, la fimminella, il bravo ragazzo di cui sparlare, ché il tempo, in questo paesino, deve pur passare e le voci corrono veloci come il vento. Caterina, la madre di Sasà, tenterà in ogni modo di fermare questo chiacchiericcio arrivando persino a chiuderlo in convento.  Tutti, ahi loro, vittime di ingiustizie e fraintendimenti.

Antonella Perrotta ha scritto un romanzo corale dove, però, il vero protagonista è il Vento. Che soffia sulle miserie dell’uomo, che entra attraverso i portoni delle case, nelle chiese, che soffia nelle menti della gente per seminare distruzione. Difatti nell’ante dictum dell’opera, troviamo la descrizione di un luogo desolato e in rovina, di cui non resta nulla: “Nessuna voce sa di clemenza. Ed è per questo, forse, che San Zefiro si è fatto polvere”. Questo è quel che succede ad alimentare, a farsi avvolgere dal fuoco distruttivo della zizzania.

E alla fine di questo racconto, iniziato per gioco e finito in tragedia, il contastorie, il narratore della storia, di queste parole mormorate dal vento, ci lascia così, a riflettere su quanto non siano poi così leggere le maldicenze e su quanto possano, quindi, portare a tragici epiloghi.

“Ho ascoltato le voci portate dal vento sulle colline e tra le pietre abbandonate, ho strappato parole alla furia dell’aria, le ho trascritte, trasformate, messe sulla lingua di uomini e donne. Ho bagnato i loro occhi di lacrime, ho riempito il loro cuore di amore e di cattiveria, ho riversato nelle loro menti ragionevolezza e follia, li ho nutriti di pregiudizio, di ostinazione, di ottusità, di rimorso e di rimpianto. Ho ucciso e seppellito, graziato e condannato, ho fatto prostituire, espiare, andare e ritornare, partire per non tornare.

Ora, io, padrone e schiavo di parole, le lascio nuovamente andare.”

La penna di Antonella Perrotta riesce ad affrontare, col sorriso – forse a volte rassegnato – i mali della nostra società offrendoci importanti spunti di riflessione. La trama è davvero originale e l’autrice indovina gli ingredienti della narrazione, trovando uno sfondo solo apparentemente lontano nel tempo, ma in realtà del tutto assonante alla nostra attualità, anch’essa caratterizzata da pandemie e nuove superstizioni.

Emanuela Stella