Recensioni: “Poco mossi gli altri mari” di Alessandro Della Santunione

Poco mossi gli altri mari, il primo romanzo di Alessandro Della Santunione edito da Marcos y Marcos, è ambientato nella pianura emiliana. Il protagonista e voce narrante ci introduce in una vita a conduzione familiare articolata dall’intreccio dei componenti della famiglia d’origine agli acquisiti, che hanno come struttura portante una stessa e unica abitazione, che per adeguarsi ai continui cambiamenti è sottoposta a repentine ristrutturazioni e adeguamenti degli spazi.

“Con la mia famiglia avevamo deciso di restare uniti… mio padre decise che avremmo adottato uno stile di vita social democratico patriarcale di sua progettazione.”

Un susseguirsi di eventi e ricordi, ricordi lontani che hanno ripercussioni sul presente, un presente che assume una forma pregna di passato e che rende tutto lontano dal quotidiano vivere che travolge come se non appartenesse ai diretti interessati. Un mosaico di elementi costituiti dalle persone che compongono la famiglia, una famiglia desiderata così unità e così disgregata. Una famiglia unita da abitudini quasi rituali, mentre ognuno vive la propria solitudine scandita da una quotidianità non condivisa, che nasconde pensieri e azioni in un quieto vivere indolente.

Così come accade al protagonista, che travolto dal lavoro lontano da casa e dalla quotidianità della coppia, si accorge che lui e la moglie si allontanano sempre più, entrambi travolti da un’inutile attività impiegatizia, che sicuramente porterà a frutto le idee altrui, penalizzandoli in giornate ricche di sacrifici, ingiustizie e scelte poco decorose: allontanati da giornate simili, giorni in cui si celano altri giorni, come un riflesso perpetuo, di cui entrambi erano esclusi l’uno dall’altro. Ma fortunatamente, all’improvviso il risveglio che li fa ritrovare uniti come non mai, una nuova ripartenza sigillata da una vacanza, ricordando che l’amore va tutelato da tutti e tutto.

E poi smettere di amare per la paura futura della perdita, riferita ai genitori, perché il solo pensiero della loro mancanza disorienta e quindi la soluzione di smettere di voler bene isolandosi e disabituandosi ai legami, che rende aridi ma che dona la convinzione che non si soffrirà per la perdita di ciò che non ci coinvolge emotivamente. E poi riflettere e ricordare particolari di coloro che ci hanno donato la vita, una madre di cui sappiamo poco, ma che ci sembra più vera quando parla il dialetto, perché si intuisce che esprime il suo pensiero profondo, mentre quando sceglie la lingua italiana sembra ripetere parole altrui, quindi un pensiero artefatto e poco genuino. O ricordare la nonna, che aveva sempre qualcosa da comprare, ma ciò che arricchiva questo suo continuo andare e venire era ciò che raccontava di una persona incontrata, che veniva scomposta a prisma e dal singolo si susseguiva una lista di eventi e persone che si intrecciavano nella vita l’una dell’altro in un vortice infinito. Quei piccoli dettagli che caratterizzano le persone care, che diverranno poi ricordi unici e insostituibili, come l’essenza rappresentativa di chi è sempre parte indelebile del vissuto, nel cuore e pensiero.

Il tutto in un tempo dove è obbligatorio “sbrigarsi”, dove tutto quello che spariva veniva sostituito da un qualcos’altro che sostituiva il tutto. Un continuo cambiamento che travolge incondizionatamente, mentre sembra solo sfiorare l’andamento della famiglia protagonista.

Alessandro Della Santunione tratta l’argomento della famiglia in modo delicato, quasi distaccato grazie all’intreccio dei capitoli che narrano gli avvenimenti dei protagonisti, ma pone comunque rilievo a un’idea di famiglia dai legami apparenti, costretti e poco sinceri, una famiglia che a volte è solo un luogo dove tornare la sera, perché non si ha il coraggio di aprirsi a una nuova visione e voler scoprire cosa c’è oltre la propria abitazione, famiglia, paese, nazione. Una famiglia rappresentata da un albero genealogico in cui ci sono rami da cui non si può volare via liberamente, ma rami a cui si è avviluppati in gabbiette appese a due a due. Intrappolati ulteriormente da una società che condiziona le vite dei protagonisti, una società in cui predominano i “Salvati”, ovvero quelli a cui le cose sono andate bene e se ne prendono il merito e i “Sommersi” , che sono accusati di non essersi impegnati, di non aver creduto in se stessi e nei loro obiettivi. E questo mal pensare ha assunto forma di verità.

Il romanzo sviscera come sia difficile riconoscersi nell’unità del tutto e come sia invece necessario dividere ciò che è in una moltitudine per poterlo descrivere e capire, come è avvenuto alla famiglia e al loro paesino di periferia inglobato da una città inconsapevole di ciò che ha calpestato e conquistato con cemento e non solo, in un avanzare che travolge tutto e tutti, pensiero compreso. E come esprime il protagonista: sentirsi “solo, come uno che è da solo in una terra straniera”.

Perché leggere Poco mossi gli altri mari di Alessandro Della Santunione: perché è facile riconoscersi in parte della storia o in qualcuno dei protagonisti, proprio perché la famiglia rappresenta il tutto di appartenenza delle nostre radici e condiziona il nostro modo di essere e nel contempo ci identifica in ciò che siamo e apparteniamo.

Simona Trunzo