Recensioni: “Stelle meccaniche” di Alessia Principe

Lo ha già scritto qualcuno: Stelle meccaniche di Alessia Principe non è un libro per tutti. Ma aderendo a quale accezione? Certamente possiamo sostenere che il nuovo romanzo di Principe – pubblicato da Moscabianca Edizioni – chiede uno sforzo al lettore e questo ci conduce già a un primo dato di fatto: in questa epoca di comodità – riverberate pure al campo dell’editoria –, un libro che chiede al lettore di impegnarsi non è di certo un libro per tutti i lettori, senza dubbio non per chi è abituato a leggere passivamente, per inerzia, e non scomodiamo neppure la categoria dei pessimi lettori che, per dirla con il mitico don Mariano de Il giorno della civetta, “vanno diventando un esercito”.

Uno sforzo, sicuro, lo ribadiamo, ma – e chi ha letto Stelle meccaniche converrà – uno sforzo generosamente ripagato dall’autrice che con questa sua seconda opera – la prima, Tre volte, risaliva al 2018 – dà prova di grande maturità stilistica e di essere in possesso di un mondo narrativo interiore – adesso impresso e presentato su carta – non comune.

E quale sarà mai questo mondo, chiederà, lecitamente, a questo punto il lettore. Descriviamolo in una frase, forse banale, di sicuro spaventevole: un altro mondo. Sì, perché lo spazio in cui si svolge il romanzo di Alessia Principe è un pianeta solo lontanamente imparentato col nostro.

Successivamente al disastro naturale di Tokamak provocato dall’implosione della stella artificiale Meti, di fatti, il tempo si è sezionato e la Terra si è trasformata risucchiando tutto in una voragine: “Dalla luce fu buio in un istante”.

Uno stravolgimento di proporzioni così grandi – scomparsi gli esseri umani, gli animali, i paesaggi, financo le stelle, quelle vere –, inesplicabile con il corrente linguaggio umano, che “sembra un miracolo che il mondo non si sia disciolto a goccioloni nello spazio”. Della Terra restano soltanto dei frammenti e una piccola umanità – la popolazione dell’Europa centrale, dell’Asia occidentale e di parte delle Americhe è infatti perita nella sciagura – che, nell’alterazione generale, ha trovato un punto di equilibrio. Una sparuta comunità, però, oramai addomesticata e rassegnata alla autodistruzione – stato in cui forse versava già da tempo.

E di quel tempo andato rimangono appena i ricordi, ben più solidi di quanto non li immaginiamo oggi; ricordi che sono chiamati Resti, che fluttuano nell’aria rarefatta del nuovo globo e che sono divenuti fonte di energia. Non tutti, ché quelli del passato prossimo, funesti, non producono alcuna energia e sono progressivamente smaltiti nel cosmo.

Tra le pagine di Stelle meccaniche ci si trova in un mondo ipertecnologico, in mano agli Arcolai, nuovi subdoli padroni del genere umano; un mondo antiutopico che tenta di mantenere un legame con quello che è andato distrutto a seguito dell’apocalisse. Non è un mondo democratico, nonostante il ridotto numero di abitanti: solo i migliori possono procedere nel loro percorso, solo ai ragazzi più talentuosi è permesso di andare avanti, per il bene del pianeta: “Il governo nella sua interezza e grandiosità ripone fiducia assoluta nelle vostre capacità”.

Arricchita da una fitta simbologia che, ritornando al ragionamento in avvio, non può essere colta da tutti, la storia procede avanti e indietro nel tempo, un tempo protagonista fra i tanti protagonisti in carne, ossa e innesti dai nomi biblici o legati a vari ambiti delle arti e delle scienze.

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Carne, ossa e innesti; trapianti che hanno mutato l’aspetto e le caratteristiche degli esseri viventi che credono che tutto possa ricucirsi, risistemarsi per non svanire mai. Una pratica insana a uso e consumo dei potenti, quei potenti presenti in ogni mondo, per i quali il sole è assai meglio nasconderlo, non rivederlo più, ché “impazziremmo a sapere come scalda e colora le cose”.

Antonio Pagliuso