Recensioni: “Maizo” di Elena Giorgiana Mirabelli

Maizo, il nuovo romanzo breve di Elena Giorgiana Mirabelli, è una novella ricca di simboli che flirta con la distopia, ma che parla del nostro tempo, della lotta per la sopravvivenza dei minorenni contro le sopraffazioni e indifferenze degli adulti.

“Ogni infanzia, ogni adolescenza, ogni vita, è in fondo solitaria, silenziosa, terribile.”

Siamo in un bosco, tra alberi, polvere e silenzio. Nell’aria si avverte soltanto “il rumore della furia”. E la furia ci rincorre, ci cerca, vuole noi. La furia che i nostri schemi, le nostre mappe, le nostre schede non hanno previsto ha zanne lunghe, aguzze e giallognole, peli come aghi e zampe gigantesche. Sono dei cinghiali famelici, “inviati da chissà che natura o dio cattivo”, inviati per punirci. È l’imprevisto, è l’apocalisse, è il materializzarsi delle nostre paure più recondite.

“La paura è il pezzo di realtà che ha l’odore degli istinti e della fame.”

È una scena ansiogena, che ci tira dentro con forza, quella che apre Maizo, il nuovo romanzo breve di Elena Giorgiana Mirabelli appena pubblicato da Zona 42 edizioni, casa editrice modenese concentrata sul mondo della fantascienza e dintorni.

I protagonisti del volume sono dei ragazzini ospiti di un istituto di correzione preventiva per minori che questi chiamano la Casa dei potenziali. Potenziali delinquenti, evidentemente, ché a ogni giovane ospite è assegnato un IPE, un indice di possibilità di errore, che va dal 50% in su e in base al quale sono modulate mansioni e permanenza nel luogo.

Nella Casa ci sono laboratori, cucine, archivi, biblioteche, un piccolo teatrino e un’area destinata all’allevamento degli animali in cui, ogni notte che passa, aumenta il numero dei maiali – un dettaglio che non è difficile individuare come un omaggio a George Orwell. Tutta la struttura è poi circondata da viadotti dell’autostrada e da un muro, tranne nella parte esposta a sud, dove imperversa un fitto bosco di rovi, di platani, di querce, di lecci. Lì dentro, in quell’oscurità, vivrebbe una “terribile e bellissima” creatura, con le ali di metallo e il potere di distruggere ogni cosa le si stagli dinanzi.

All’interno della Casa sono reclusi dei bambini molto interessanti, come Mitja, il ragazzino geniale, che possiede il dono di ricordare ogni dettaglio di ciò che osserva (“se guarda un albero non vede un semplice albero, ma un insieme completo di foglie di cui coglie tutte le sfumature”) e nella cui testa è capace di raccogliere tutte le storie del mondo. Storie ben lontane dalla immonda realtà della Casa in cui, celata all’ultimo piano, c’è una stanza, una stanza nera, la stanza della notte, la camera degli insopportabili abusi che si consumano sui piccoli corpi degli ospiti della struttura. I bambini sono esplorati, osservati, studiati, su di loro vengono condotti degli esperimenti. E diminuiscono di numero, loro, i bambini.

 “I bambini delle case sono solo vestiti di bianco, non hanno viso, non hanno nome, non hanno storia, sono solo punti bianchi. Bersagli.”

E poi c’è Mazio, la tartaruga che funge da talismano, l’entità non umana con la quale i ragazzini esorcizzano le loro paure. Il piccolo rettile – che in epoca remota rappresentava lo spirito del male – accompagna i giovani protagonisti del racconto lungo in fuga dal complesso. I bambini vogliono attraversare il buio del bosco e raggiungere un casolare in collina in cui si svolgerà la Cerimonia, prevista per la luna nuova, la fase lunare in cui la faccia del satellite a noi visibile si trova interamente in ombra; solo allora sarà possibile trasformarsi – ovvero realizzare i propri desideri –, in un’aquila, una sirena, un gigante, non nei maiali principi del bestiario proposto dalla Casa.

“Ci svegliamo poco prima dell’alba, puliamo il terreno dalle tracce e ricominciamo a camminare verso la Cerimonia. Così ogni giorno, per sette giorni. Anche il nostro cammino sembra una sequenza di azioni da ripetere, un meccanismo che funziona bene in quanto ripetitivo ed esatto.”

Maizo è una novella ricca di simboli che gira attorno ai cancelli della distopia, ma che parla del nostro tempo, di temi a noi vicini, della lotta per la sopravvivenza dei minorenni contro le sopraffazioni e indifferenze degli adulti. Un cammino lento, intricato, espressione di un sacrificio, ché “ogni cosa importante […] è piena di prove da superare”.

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La scrittura di Elena Giorgiana Mirabelli è asciutta e fluida e allo stesso tempo algida, perfetta per la storia narrata; la trama è solida, avviluppante e mai su di giri; e se un lettore si rivela troppo esuberante, l’autrice lo riporta all’ordine – il suo ordine – tirandolo per il bavero, un po’ come Chiellini con l’attaccante inglese agli ultimi Europei.

Antonio Pagliuso