Recensioni: “Trema la notte” di Nadia Terranova

Trema la notte di Nadia Terranova (Einaudi, 2022) – neovincitore della XXI edizione del Premio Letterario Nazionale Elio Vittorini – è un giro di Tarocchi, figure che si sparpagliano per poi riunirsi in un mazzo che decreta i destini lasciando sul tavolo qualche carta.

Nella notte del 28 dicembre 1908 le vite di Barbara e Nicola sembrano distanti, separate dal braccio di mare che separa la Sicilia dal Continente, eppure entrambi desiderano un altrove in cui essere liberi: Barbara ha appena vent’anni e troppi sogni per un padre che la vorrebbe angelo del focolare; Nicola ne ha undici e dorme con i polsi e le gambe legati a un catafalco perché il diavolo lo creda morto e non se lo porti via mentre dorme. Barbara da Scaletta Zanclea può raggiungere Messina, andare dalla nonna e a teatro, a vedere l’Aida e a tifare per Amneris e il suo amore non ricambiato per Radames; Nicola è agli occhi di tutti un bambino fortunato, dovrebbe esser contento del padre che fa profumare di bergamotto l’intera Reggio Calabria e di quella madre che si chiama come la Madonna ma che non si accorge che Nicola alla croce lo sta inchiodando proprio lei, ma lo fa dolcemente, con le corde del carro dell’Assunta ché la Vara dopo la processione del 15 agosto non ne ha più bisogno. Lo lega di notte. Come gli incubi che sono l’unico spazio aperto in cui poter urlare.

Trentasette secondi, poi solamente macerie

Di notte fra Reggio e Messina dormono anche la vorace Cariddi, figlia di Gea e Poseidone, e Scilla, figlia della gelosia di Circe. Chissà cosa sarà successo ma quella stessa notte stellata del 28 dicembre 1908 – che Barbara ammira e Nicola immagina – diventa un campo di battaglia fra i due mostri. Trentasette secondi in cui cielo e mare diventano un unico muro che crolla di colpo. Non si sa bene chi abbia avuto la meglio fra Scilla e Cariddi, se sia stato il mare o la terra a gridare più forte, se da lì in poi le cronache avrebbero dovuto parlare di maremoto o di terremoto. Quel che è certo è che dall’ira funesta si salverà ben poco, resteranno soltanto macerie delle due città dello Stretto, anche i vivi saranno morti perché le ferite dell’anima non le vede nessuno e nessuno le può curare.

“Qui non c’è nemmeno la speranza, al massimo ci sono i miracoli.” E forse neanche quelli. Barbara e Nicola non hanno più un nome, sono altro e altri. Sono corpi che avanzano sui cadaveri del loro passato, si incrociano e diventano un ricordo. Avranno nuove identità e nuove famiglie ma gli stessi incubi della vita precedente.

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Trema la notte, distruzione e rinascita

Trema la notte come le luci che pochi giorni prima avevano rischiarato la Marina di Reggio Calabria, come le rotaie del tram che arrivava a tagliare Messina; trema la modernità di fronte all’ira del Mito, a quel cielo che diventa color ocra e che ancora oggi reggini e messinesi chiamano “cielo di terremoto”.

Rinasceranno Reggio e Messina, ridisegnate come città gemelle, unite da quella sacca di liquido amniotico che le ha soffocate e sputate alla vita nel giro di pochi secondi. Rinasceranno Barbara e Nicola col sapore del metallo e della polvere in bocca, con l’amarezza della Storia che entra nella vita della gente comune senza chiedere permesso.

Letizia Cuzzola