Recensioni: “Tutto, tranne l’amore” di Sergio Daniele Donati

“Ogni parola ha un tempo e un peso; è fatta di materia pregiata, a cui la fretta o la quiete danno miseria o nobiltà.”

C’è un mondo stupefacente in Tutto, tranne l’amore di Sergio Daniele Donati, un racconto breve di sessantotto pagine affidato alle amorevoli cure della casa editrice Divergenze che ne fa un prezioso scrigno dove la scrittura, umilmente, si fa arma di salvezza e guarigione.

Le parole di Donati si librano nel cielo come un uccello, si fanno volo e danza, si fanno vita, raccontano verità, cullano melanconie, seminano speranza. Ed ecco la speranza del padre che il piccolo Pietro sia migliore di lui, che non arrivi mai a vergognarsi dei propri sentimenti perché la consolazione è una coperta calda e morbida per ogni uomo.

Nell’intimità di queste pagine, che a dispetto del titolo hanno l’amore come materia essenziale, troviamo un padre, un figlio e le loro parole che non sono solo rappresentazione, non sono fenomeno e manifestazione di un pensiero, ma materia viva e penetrante. Mai urlate, quasi sussurrate appena, delicatamente, in punta di piedi, direttamente al cuore. E da veri guerrieri bisogna allenarsi affinché le cose che ci attraversano, belle e brutte, ci portino al cambiamento, alla trasformazione. Come il bruco che diventa farfalla.

C’è cura in ogni parola, cura che è anche disciplina, armonia e grazia, e con questo carico di sentimenti, l’autore, ci parla della storia di un padre, un padre che trova un modo geniale e autentico per instaurare un dialogo con il suo bambino: il racconto.

Attraverso una serie di storie stravaganti intrise di profondità, in mezzo a samurai, pugili e lettere dell’alfabeto ebraico – che richiamano il sostegno tra gli uomini, l’inclusione –  passando dal mondo onirico perché “i sogni sono lingue antiche” che bisogna imparare a leggere, il padre cerca di spiegare al figlio il disincanto, la fallibilità della vita, l’importanza dell’ascolto e delle promesse; e anche la gioia, la capacità di usare la danza come ricerca di se stessi, come esempio di felicità buona. Il bambino è molto sveglio, un bravo narratore anche lui che spiazza sistematicamente il padre con riflessioni minuziose e con la innata capacità di arrivare subito dritto al cuore degli argomenti.

Non sono consigli, non sono imposizioni, sono esempi raccontati con l’antico linguaggio delle fiabe, attraverso cui Donati ci invita alla riflessione. E ci ritroviamo inevitabilmente a pensare, a pensare al rapporto filiale e a come è difficile cercare di buttare semi che diventeranno germogli di una umanità forse oggi troppo affondata nella superficialità e nel materialismo.

“È lui il maturo, fra i due: quant’è vero che i custodi dei genitori sono i figli, e la vita la si impara assieme.”

Si innesca un rapporto di reciprocità, che porterà il padre a trarre grandi insegnamenti dal dialogo con il figlio, in fondo raccontare storie è per lui una catarsi che lo aiuterà ad affrontare, a ricordare – a “riportare le cose al proprio cuore” – i rimpianti della sua vita.

Tutto, tranne l’amore può essere considerato una sorta di manuale di istruzioni che si rivolge, senza alcuna presunzione, con semplice complessità, al cuore di genitori e figli.

Il grimaldello per aprire le pagine di questo libro è la parola “cura”:

“È bello avere cura dei sorrisi, delle passioni e di nuovo delle parole: quelle usate e quelle ancora non pronunciate. Dei sogni, delle ferite, delle fragilità e di centinaia di banalità che potrei aggiungere: tutto ciò che si cura è un dono di valore inestimabile.”

Emanuela Stella