Recensioni: “Una favolosa eredità” di Giuseppe Benassi

Giuseppe Benassi è pronto a sbalordire il lettore con il giallo Una favolosa eredità (Extempora edizioni) che supera i limiti di narrazione grazie all’accurata descrizione dei personaggi, l’ambientazione e il racconto.

Una favolosa eredità è un’opera che travolge il lettore in un immaginario teatrale in cui si susseguono scenari-protagonisti-eventi, indagini-indizi che consentono di immedesimarsi a tal punto nel loro mondo emotivo da trasformare il lettore in protagonista, creando un contesto di opportunità interpretative svariato e adattabile a ogni singolo senza limiti e distinzioni.

“…un linguaggio più letterario, non era altro che un volgare gioco di prestigio, bolle d’aria piene di fandonie, un castello di carte false, ove il vizio veniva contrabbandato per moralità, la polvere nascosta sotto un sontuoso tappeto di parole e il lupo travestito da nonna.”

Il linguaggio è la forma di comunicazione dell’uomo che si manifesta per mezzo di suoni e soprattutto attraverso la scelta di parole che costituiscono il messaggio, così, poiché le parole rappresentano la forma di comunicazione e il “linguaggio letterario” dell’autore, sono state scelte come filo conduttore della narrazione alcune delle parole più rappresentative e presenti nella stesura del racconto, a cominciare da quella più emblematica, presente già nel titolo: eredità e a seguire avidità-falsità-corruzione e ancora giustizia-verità vittoria.

Parole che accompagnano l’evoluzione del protagonista, un uomo apparentemente mediocre e passivo a dir poco apatico, che cela un intelletto curioso e determinato, pronto a fronteggiare ogni apparente barriera pur di venire a capo di risposte che conducano alla verità e anche nei momenti in cui sente di dover mollare subentra una vocina fuori campo che lo fa rientrare nella centratura della situazione: “Il suo alacre cervello trova sempre una soluzione”.

Così si crea un filo conduttore che scatena una reazione a catena a effetto domino: eredità, questa fantomatica parola che riecheggia nelle famiglie e attraversa aule di tribunale e stanze di notai, come un’ombra assassina che incombe e si insinua sino a cambiare i destini delle sue vittime. Qual è la parola che origina questa forza occulta: l’avidità, questo desiderio incontrollato che come una fame ancestrale velata serpeggia nei peggiori dei modi nell’essere umano, divampando e divorando ogni minima ombra di umanità.

Ma l’avidità arricchisce o impoverisce? Questo vigore nel voler possedere ad ogni costo che si manifesta come desiderio incontrollato e non si placa nemmeno una volta raggiunto l’oggetto del desiderio, tramutando in ossessione, un’ossessione che nega legalità e umanità e si manifesta in corruzione. E segue il manifestarsi di questa ipocrisia dell’essere, l’altra parola scelta, quando la comunicazione è gestita con finalità abiette e disdicevoli e fino a inglobare la parola falsità: ciò che vorrebbe apparire ma non è. In antitesi giustizia e verità, che con la loro ragion d’essere si trasmutano in vittoria, come risultato in una guerra o gara o contesa giuridica, che dovrebbe trionfare come virtù.

“A volte dietro un omicidio se né nasconde un altro, o, addirittura il secondo serve per occultare il primo”

In questo teatro dell’assurdo il sipario del primo atto si apre con una defunta, tre figli, una domestica, un avvocato e quattro testamenti, un susseguirsi vortiginoso di eventi e personaggi che si palesano come in un gioco al rintocco in cui l’entrare in contatto con altri determina un evoluzione e cambiamento dei fatti sia nelle vite dei singoli sia nella soluzione delle indagini; così il cerchio della vita, fuori scena, silenziosamente, tesse la sua trama e ne dissolve i nodi, un’opera di vita che dà vita a nuova opera, per vivere un viaggio o meglio un’indagine, costituita da persone, luoghi, eventi che si intrecciano perfettamente in questo districato animo dell’essere umano, dove niente è come sembra.

Simona Trunzo