Recensioni: “Una rosa per Teresina” di Emilio Grimaldi

Liberamente ispirato alla vera storia di Teresina Lucà ed Eugenio Gimigliano, Una rosa per Teresina di Emilio Grimaldi (Officine Editoriali da Cleto) gode delle ricerche e della cura di Gilda Lettieri e Alcide Lodari e della prefazione di Oscar Greco.

“La verità, così generosa contro le menzogne, spesso è foriera di altre. Una volta aperta la sua porta si scopre un altro mondo.”

Le porte del manicomio interprovinciale di Girifalco sono state aperte dal 18 settembre 1878 al 15 maggio 1978: 15.794 anime hanno urlato la loro disperazione fra quelle quattro mura per un secolo. Eppure la sua storia era iniziata diversamente: fondato nel 1635 come convento dei frati minori riformati si era distinto per la monumentalità, mai immaginando che la sua grandezza avrebbe dato sfogo alla piccineria dei seguaci di Lombroso che lo videro quale luogo ideale per rinchiudere quanti non rispettavano i canoni delle sempre più dilaganti teorie dell’eclettico medico.

Una donna nel posto sbagliato al momento sbagliato

Quella di Teresina non è una storia di fantasia, una fiaba senza lieto fine, ma la vita reale di una donna che il dolore ha posto nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Gilda Lettieri e Alcide Lodari hanno affidato alla penna di Emilio Grimaldi una storia di famiglia, di quelle su cui si mormora e sussurra ma non si parla a voce piena; un decennio di ricerche li ha portati davanti la porta del manicomio di Girifalco, un borgo di epoca bizantina il cui nome, malgrado la sua bellezza, resterà per sempre legato a questo inferno di soprusi e maldicenze.

Teresina proviene da una bella famiglia, modesta ma sincera e di cuore come sanno esserlo i calabresi puri. Ha ventinove anni quando conosce Eugenio Gimigliano, di nobili origini e cancelliere della pretura di Catanzaro, allora capoluogo della Calabria Ulteriore Seconda. È un amore sbocciato al primo sguardo, senza malizia, che si consoliderà con la nascita della figlia Iolanda. La serenità della famiglia verrà a mancare con la prematura di Eugenio.

Il ricovero al manicomio di Girifalco

Sono tempi bui, il giovane Regno d’Italia è messo alla prova dalla Prima guerra mondiale e la diffidenza dilaga più velocemente della paura. Teresina è una donna sola, con una figlia da mantenere e un’eredità da salvaguardare ma sarà proprio il vile denaro a segnare la sua condanna. Basta poco, pochissimo per attirare l’attenzione del meschino della porta accanto per aprire altre porte: è il 18 dicembre 1916 quando viene registrato a Girifalco il ricovero di Teresina Lucà per “indebolimento mentale”, il positivismo lombrosiano ha ormai attecchito e diversificato le anamnesi sulle cartelle cliniche rendendole fantasiose alquanto.

Il manicomio ha grandi finestre, entra ancora il sole quasi per beffa a illuminare le altre anime compagne di stanza della nostra. Ma Nunzia non se ne accorge mentre parla con Teresina e un lenzuolo le copre il viso ché del male conosce già lo sguardo. Anche Elvira lo conosce bene: è internata perché il marito l’ha denunciata per “pazzia morale”, lo hanno definito così quel suo amare indistintamente uomini e donne; Penelope è affetta da “ebefrenia”, una psicosi della giovinezza che il medico le imputa non perché il suo corpo è stato violato ma perché non sa gestire la sua bellezza da ragazzina innocente; Angiolina è lì perché costretta a vendere il suo corpo a uomini che ora l’accusano di essere troppo brutta per esser definita non corrotta anche nella mente. Brutta. Per Cesare Lombroso era sintomo di pazzia e criminalità anche una lieve sproporzione nei caratteri somatici, Lombroso di cui Pirandello avrebbe commentato che ha lo stesso naso che pende a destra del suo Vitangelo Moscarda.

Teresina Lucà, la “dantessa” di Girifalco

Teresina si interroga, nessuno le ha spiegato cosa significhi “indebolimento mentale”, sa solo che l’hanno portata via dalla sua bambina, dall’unico bene che le era rimasto. Ci penserà Maria a darle una risposta perché Maria è brava con le parole, sta lì per questo: è una contadina ma sa leggere e scrivere, chissà il demonio le avrà fatto da maestro perché Maria ci sa fare con i versi e la metrica tanto da essere chiamata la “dantessa” di Girifalco. Maria è troppo, è troppo per un mondo surreale malato di delirio di iper-realtà che l’ha etichettata malata di “delirio erotico”: è puro delirio per una donna pensare di poter leggere e scrivere poesie come Maria faceva, o provare piacere giacendo col marito: zitta, Maria, le tue mani non possono impugnare una penna e il tuo corpo non è il tuo e quando lo è non deve saperlo neanche l’uomo che ami. La “dantessa” sa quali gironi siano i reparti e che le parole possono condannare ma anche consolare.

Teresina non c’è più. La sua vita si spegne il 16 novembre 1920 fra quelle quattro mura che hanno potuto solo impregnarsi delle sue lacrime ma non piegarla. La giustizia per Teresina e la figlia Iolanda arriva cinquant’anni dopo. Per noi tutti che leggiamo oggi Una rosa per Teresina, giustizia sarà fatta quando ognuna di quelle 15.794 anime rinchiuse avrà un nome e pensiero a ricordarla.

Letizia Cuzzola