Recensioni: “Il coccodrillo” di Fëdor Dostoevskij

Spesso si sostiene che leggere un capolavoro della letteratura russa tradotto in tutto il mondo come Guerra e pace di Lev Nikolàevič Tolstoj o Delitto e castigo di Fëdor Michajlovič Dostoevskij – fari della letteratura russa e quindi di quella universale – equivalga ad aver letto una pila di libri alta così; che una esperienza letteraria simile possa colmare anche lustri di mancate letture.

Da lettore forte, dunque lungi da posizioni volte a portare acqua al mio mulino, sottoscrivo appieno, sia per la sostanza delle opere in questione sia per la voluminosità, il tangibile numero di pagine che deriva da cotanti contenuti, argomenti, riflessioni.

Le prove del grande scrittore

La grandezza di uno scrittore, però, ha bisogno di qualche altra prova per essere certificata: intanto trovare conferma in almeno un’altra opera – e i nostri Tolstoj e Dostoevskij si giocano subito le carte, due carichi da undici, Anna Karenina e I fratelli Karamazov –; e poi vedere perpetuato il pensiero, espresso attraverso l’opera artistica, nei decenni e nei secoli – e pure questo aspetto è ampiamente raggiunto da ambedue i mostri sacri della letteratura.

Possiamo considerare un’ulteriore prova: essere apprezzati anche in altre ‘discipline’ letterarie come la saggistica o il romanzo breve.

Ecco, prendiamo in esame il romanzo breve o racconto lungo che sia. Ci soddisfano i vari Sonata a Kreuzer e La morte di Ivan Il’ič di Tolstoj e Le notti bianche e La mite di Dostoevskij? Accipicchia se lo fanno e dubitiamo che certe letture, consumate nell’arco di un paio d’ore, possano mai annoiarci o lasciarci inappagati – a meno che non ci chiamassimo Vladimir Nabokov e non fossimo affetti dalla sua celebre dostoevskite acuta. Sempremai gratificati e travolti tanto che ci piacerebbe, seppur consci della antica dipartita di entrambe le glorie nazionali russe, poter leggere qualcosa di nuovo, di inedito, qualcosa che si appalesi improvvisamente in uno sgabuzzino della tenuta tolstoiana di Jasnaja Poljana o dietro la carta da parati di una delle molteplici case e casupole pietroburghesi in cui è vissuto Fedja.

Adelphi pubblica Il coccodrillo di Dostoevskij

In tal senso, nelle ultime settimane Adelphi ha realizzato il desiderio di tanti amanti della letteratura alta e, nello specifico, di Fëdor Dostoevskij – il vecchio Leone, sicuramente non domo con le sue centinaia di migliaia di pagine tra racconti e opere filosofiche, teatrali e pedagogiche, per questa volta si mette cordialmente da parte – pubblicando un romanzo breve, apparso per la prima volta in Russia nel 1865 attraverso le colonne dell’ultimo numero della rivista letteraria Epocha – fondata dallo stesso autore e dal fratello Michail nel marzo 1864 e chiusa dopo appena un anno di bocconi amari –, ma mai pubblicato in Italia (se escludiamo un paio di recenti edizioni per ragazzi): parliamo de Il coccodrillo, edito dalla elegante casa editrice fondata nel 1962 dai “sodali” Luciano Foà, Roberto Olivetti e Roberto Bazlen, con la curatela di Serena Vitale, già curatrice e traduttrice di altri grandi russi quali Puškin, Mandel’štam, Esenin, Majakovskij e Cvetaeva.

La Pietroburgo borghese, un uomo spavaldo e un gigantesco coccodrillo

In brevissimo, Il coccodrillo, riprendendo la noticella dello scrittore, è il “racconto veritiero di come un signore di una certa età e di un certo aspetto fu inghiottito vivo, tutto intero, dal coccodrillo del Passage, e di quanto ne conseguì”.

Ma analizziamo con maggiore solerzia il testo. Inverno 1865. Siamo a Pietroburgo, nel Passaž, la sontuosa galleria commerciale sul Nevskij Prospekt, un posto elitario considerato che presto sarà introdotta una tassa di passaggio di cinquanta copechi per limitarne gli accessi. Sotto la copertura ad arco in vetro e acciaio della galleria appare un funzionario dello Stato – nei romanzi di ambientazione pietroburghese i personaggi o sono degli straccioni oppure sono dei funzionari statali –; il suo nome è Ivan Matveič e, accompagnato dalla civettuola consorte Elena, si imbatte nel coccodrillaio tedesco che da qualche giorno sta presentando con orgoglio il suo coccodrillo.

D’un tratto il colpo di scena: baldanzoso e curioso il funzionario decide di svolgere una sorta di visita laringoiatrica al rettile.

“… mi voltai rapidamente e… cosa vidi! Vidi – oh, mio Dio! – vidi il povero Ivan Matveič nelle spaventose fauci del coccodrillo: azzannato per i fianchi e già in posizione orizzontale per aria, agitava disperatamente le gambe. Un attimo dopo non c’era ormai più.”

Ma perché il funzionario, persona rispettabilissima, coniugato legalmente, “figlio della patria”, prossimo a un viaggio alla scoperta della Vecchia Europa, si è ritrovato dentro le fauci del coccodrillo? Qualche illuminato, che a fatica prova a farsi sentire nel generale delirio che caratterizza le pagine del Coccodrillo, ha la risposta: “La causa è l’eccessiva istruzione […]. Perché le persone troppo istruite ficcano il naso dappertutto, e principalmente lì dove nessuno richiede la loro presenza”.

Il Passaž negli anni cinquanta dell’Ottocento (foto di pubblico dominio)
Il Passaž negli anni cinquanta dell’Ottocento (foto di pubblico dominio)

Dentro lo stomaco del coccodrillo, la celebrità

E Ivan Matveič? Sta provando terrore all’interno del “sonnacchioso abitante del regno dei faraoni”, inquieto come un Pinocchio nella pancia del pescecane? Macché! Il funzionario, fedele al carrierismo che permea la sua società e al suo irrefrenabile narcisismo, e quindi ammettendo la propria mediocrità, vuole sfruttare al massimo quella inaspettata occasione: “Da molto tempo desideravo un’occasione che facesse parlare tutti di me”.

Ora sì che può essere considerato come ha sempre sognato, ora sì che può ergersi a virtuoso maestro dell’umanità, sedersi alla stessa tavola degli dei e battere i pugni esigendo fiducioso l’immortalità – “spero di vivere almeno mille anni, se è vero che i coccodrilli vivono così a lungo”. Solo una preoccupazione gli traversa l’encefalo, seppur per un istante: quella di essere digerito, dovesse accidentalmente addormentarsi nell’atemporale soggiorno che sta progettando, e fare l’umiliante fine di una patata.

Dall’uomo del sottosuolo all’uomo nel coccodrillo

Il delizioso vaniloquio dell’uomo del e nel coccodrillo è parente stretto dell’uomo del sottosuolo più vecchio di un solo anno. Ne Il coccodrillo, infatti, si individuano tutti i tratti della persona beffarda, maligna, supponente, certa della propria malata superiorità – generata dall’essersi nascosto dal mondo, lungi dal “terrestre buon senso” di vivere la vita – rispetto alla gentucola tutt’attorno.

Reduce dai successi memorabili – di nome e di fatto – di Memorie di una casa morta e Memorie dal sottosuolo, ma senza un sostegno affettivo – la moglie Marija e il fratello Michail erano morti nel 1864 – e senza un rublo in tasca a causa dei debiti famigliari e derivanti dalla chiusura della disgraziata Epocha e della sua passione per il gioco, Dostoevskij compose questo racconto mettendo a fuoco la grandezza letteraria dell’artista della parola e del pensiero, nonostante le penosissime ambasce quotidiane – nel ’66 si trovò addirittura costretto a sigillarsi in casa per sfuggire ai creditori che volevano fargli la pelle – che lo accompagnarono almeno fino agli inizi del decennio seguente quando con la guida della seconda moglie, la giovane stenografa Anna Grigor’evna Snitkina, riuscirà a raggiungere un minimo di serenità.

Svelato il Dostoevskij umoristico e critico

Il coccodrillo è una storia sbilenca, senza finale, sospesa nella sua paradossalità che critica umoristicamente la società colta della città inventata da Pietro il Grande – “la più astratta e premeditata città” del mondo terracqueo –; una società asservita al “principio economico”, in marcia verso il progresso, una corsa spedita, irrazionale, da cui emerge la crisi dei valori, dimenticati per fare spazio al dio denaro, alle nuove necessità e alle apparenze. Cupidigia, arrivismo, avidità della costituenda società borghese: mali in nuce già in quella seconda metà dell’Ottocento che si sarebbero ripresentati e rinvigoriti a metà del secolo successivo dopo i decenni interrotti segnati dai due conflitti mondiali.

Leggi anche Il commento di Pasolini a Delitto e castigo di Dostoevskij

Dal Cappotto al Coccodrillo

Un racconto finalmente riscoperto Il coccodrillo, realizzato con la stessa stoffa del Cappotto, Mantella o Pastrano che sia del maestro Nikolaj Gogol’, ché il delirante Ivan Matveič pare proprio essere erede diretto, figlio legittimo dell’infelice Akakij Akakievič Bašmačkin – e d’altra parte è proprio Dostoevskij ad aver pronunciata la frase “Siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol’”. E così sia.

Antonio Pagliuso