50 anni fa moriva Dino Buzzati, autore del classico “Il deserto dei Tartari”

Oggi, 28 gennaio 2022, ricorrono i cinquant’anni dalla morte di Dino Buzzati, uno dei giornalisti e scrittori più significativi del Novecento. Il suo romanzo Il deserto dei Tartari è tra i classici indimenticabili della letteratura italiana.

Equiparato a più riprese a Franz Kafka per la sua immaginifica capacità di raccontare la realtà, Dino Buzzati moriva il 28 gennaio 1972, esattamente cinquant’anni fa.

Nato il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino, località alle porte della città di Belluno, terzogenito del giurista Giulio Cesare Antonio Buzzati Traverso e di Alba Mantovani, Dino Buzzati comincia a lavorare nel giornalismo nel 1928 come praticante al “Corriere della Sera”. All’attività giornalistica – reporter, elzevirista – accosta un intenso lavoro come artista e scrittore che lo porta a pubblicare il primo romanzo nel 1933: Bàrnabo delle montagne, uscito per Treves-Treccani-Tumminelli.

Dino Buzzati avrà un enorme successo sia nella carriera giornalistica sia in quella letteraria: vincitore del Premio Strega nel 1958 grazie alla raccolta Sessanta racconti, la celebrità dello scrittore veneto è dovuta in special modo a Il deserto dei Tartari, romanzo pubblicato per Rizzoli nel 1940, mentre l’Italia fascista entrava in quella Seconda guerra mondiale dalla quale sarebbe uscita a pezzi. Negli ultimi anni di vita, Buzzati si dedicherà maggiormente a un’altra sua grande passione, la pittura, e darà alle stampe l’ultima opera. Sarà la raccolta di elzeviri e racconti dal titolo Le notti difficili.

Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati

Pubblicato da Leo Longanesi in una collana destinata agli scrittori più originali dello Stivale e non soltanto, Il deserto dei Tartari è un romanzo indimenticabile, sconvolgente – uno di quelli che ne vale dieci di romanzi , incentrato sulla fuga del tempo. Quando esce il volume simbolo della sua produzione artistica, Dino Buzzati è a Addis Abeba, capitale dell’Africa Orientale Italiana, come inviato di guerra per il “Corriere della Sera” – i suoi resoconti verranno pubblicati postumi nella raccolta dal titolo Il buttafuoco: cronache di guerra sul mare.

La Fortezza e la fuga dalla vita

La Fortezza Bastiani è una struttura dalle mura giallognole, coi bastioni e le casematte bassi e sghembi, situata lungo un confine morto, al di qua di un deserto di pietre, detto il deserto dei Tartari, poiché si crede che in un tempo remoto questa assai generica popolazione nomade avesse svolto le sue scorrerie lungo la desolata frontiera. In realtà, l’autore riprende semplicemente un’antica connotazione negativa, famigliare – come per dire i barbari, i turchi o i saraceni –, per indicare delle genti misteriose provenienti da terre lontane e ignote e perciò da temere. Quello tartaro, nel romanzo, assurge per antonomasia a un popolo pericolo e selvaggio. Oggi la chiamerebbero discriminazione razziale e/o territoriale. 

Comunque sia, alla Fortezza viene inviato il giovane ufficiale Giovanni Drogo che resta oltremodo sconcertato dallo scenario desertico e all’apparenza innocuo che lo circonda. Intenzionato ad andare via quanto prima da quel proscenio inutile sul fronte bellico e per la sua carriera – ché il protagonista della storia comprende subito che lì non accadrà mai nulla –, Drogo trascorre le giornate in una inerzia che, dapprima noiosa e logorante, muta presto in una confortevole condizione in cui il militare si trova avviluppato. Giovanni Drogo pensa alla sua casa, alla civiltà, all’azione; fantastica sul ritorno alle abitudini di un tempo, ma si ritrova, ogni tramonto che passa, sempre più risucchiato dall’atmosfera irreale della Fortezza, da quel tempo immobile. In ignava attesa.

50 anni fa moriva Dino Buzzati, autore del classico “Il deserto dei Tartari”

Perché Giovanni Drogo decide di restare? Di non staccarsi da quel fascinoso non-mondo? Cosa lo spinge ad accettare quel destino?

Talvolta è più facile andare che restare e dunque l’antieroe di Dino Buzzati resta, rimane in pianta stabile in quel vano avamposto, in attesa – che si trasforma in assolvente speranza – di un attacco da parte di nemici che non arriveranno mai, ché, sia chiaro, i Tartari – più propriamente Tatari – non compariranno in alcuna delle pagine del romanzo se non nei vagheggiamenti, man mano sempre più farlocchi, dei militari del maschio che hanno bisogno di quell’inconcludente appiglio per restare agganciati a qualcosa che possa ricordare la vita. Vita dalla quale sono fuggiti, più coscientemente di quanto si possa credere.

L’illusione del tempo che corre via

Gli uomini diventano la Fortezza, realizzando una imprevedibile metonimia. Drogo, in maniera perfettamente uniforme ai pochi altri ufficiali del forte, aspetta, si adagia sui guanciali delle nuove abitudini, scivola nel “torpore delle abitudini”, sempre più estraneo alla sua vita precedente e all’attuale, illudendosi di quando in quando di avere ancora tutta la vita davanti, di avere dinanzi a sé sempre la prospettiva di una “gloriosa rivincita”.

“… tutte le cose che nutrivano la sua vita di un tempo si erano fatte lontane; un mondo di altri dove il suo posto era stato facilmente occupato.”

La fuga del tempo è in atto e definirà per l’ormai non più giovane ufficiale i contorni di una vita non vissuta. Chi è stato realmente Drogo: un ostinato sognatore? un coraggioso o un codardo? un vincitore o un vinto?

Il deserto dei Tartari è un libro sull’infrenabile trascorrere del tempo, quello che cura ogni cosa. Nella speranza che, alla fine, sia rimasto qualcosa da curare.

Qualche anno dopo la morte dello scrittore, nel 1976, il Deserto dei Tartari è uscito in una riduzione cinematografica grazie a Valerio Zurlini con attori del calibro di Jacques Perrin – l’interprete di Giovanni Drogo –, Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant – eccellente spalla di Gassman ne Il sorpasso – e Giuliano Gemma.

Antonio Pagliuso

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