Boris Pahor, la “Necropoli” dell’ultimo scrittore del ‘900

Avrebbe compiuto 109 anni il prossimo 26 agosto; Boris Pahor, l’ultimo grande scrittore del Novecento si è spento ieri a Trieste. Testimone di un secolo, Pahor ha traversato due guerre mondiali e due pandemie. Coi suoi romanzi ha raccontato l’orrore dei lager.

Era nato il 26 agosto 1913 a Trieste, al tempo città austroungarica, meno di un anno prima dello scoppio della Grande guerra; è morto ieri, il 30 maggio 2022, a centootto anni, mentre la vecchia Europa è agitata da nuove bombe e da un futuro oltremodo incerto. Nella sua lunga vita lo scrittore Boris Pahor ne ha viste e traversate tante: due guerre mondiali, due pandemie – la Spagnola, che uccide la sorellina Mimica, e quella da Covid-19 –, il rogo del Narodni dom, la casa del popolo slovena, data alle fiamme nel 1920 dai fascisti, la repressione del regime di Mussolini contro la cultura slava, la vita clandestina dopo l’armistizio di Cassibile, la lotta partigiana per riconquistare la propria identità pagata a caro prezzo con la deportazione in numerosi campi di concentramento, tra i quali Dachau, Nordhausen e Bergen-Belsen, i crimini perpetrati dai partigiani titini contro gli sloveni nei territori contesi tra Italia e Iugoslavia.

Necropoli, la cronaca di un orrore

Della terribile esperienza nei campi di concentramento nazisti, Pahor parlò nel suo libro più conosciuto: Necropoli. Il romanzo, edito nel 1967 dall’editore Obzor col titolo originale Nekropola e oggi pubblicato nel nostro Paese da Fazi, è una raccolta di memorie sul periodo di internamento (tra il ’44 e il ’45) dell’autore nel lager di Natzweiler-Struthof, al tempo villaggio della regione storico dell’Alsazia-Lorena.

Nominato Libro dell’Anno 2008 dalla giuria popolare della trasmissione radiofonica Fahrenheit e vincitore del Premio Napoli, categoria Letterature straniere, Necropoli è la testimonianza fedele e sconvolgente delle atrocità avvenute nei campi di concentramento nazisti nella Seconda guerra mondiale.

Lo scrittore e saggista Claudio Magris ha scritto che l’opera più conosciuta di Boris Pahor “è un ritratto a pieno campo e allo stesso tempo stringato – mai patetico – della vita (della non-vita, della morte) nel lager. Un possente afflato umano coesiste con una nitida e fredda precisione, in una perfetta struttura narrativa che interseca il racconto del passato – della prigionia, rivissuta nel perenne presente dell’orrore – e il resoconto del presente […]. Necropoli è un’opera magistrale […] anche per la sua limpida sapienza strutturale, per l’intrecciarsi di tempi – verbali ed esistenziali – che intessono il racconto”. (Claudio Magris, Un uomo vivo nella città dei morti, [introduzione] in Necropoli, 2008).

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Triestino di nascita ma sloveno di passaporto, la sua opera giunge in Italia solo nel 1997, al termine del Novecento, secolo di cui è stato tra i maggiori rappresentanti in campo letterario. La prima pubblicazione italiana di Necropoli si deve alle Edizioni del Consorzio culturale del Monfalconese.

Altri libri di Boris Pahor

Altri suoi lavori tradotti in Italia sono: La villa sul lago, Triangoli rossi. I campi di concentramento dimenticati, Una primavera difficile, Il rogo nel porto, Oscuramento, Così ho vissuto. Presto la casa editrice La nave di Teseo ripubblicherà la sua autobiografia dal titolo Figlio di nessuno.

Antonio Pagliuso

Foto di Claude Truong-Ngoc condivisa via Wikimedia con licenza CC BY-SA 3.0