Intervista a Letizia Cuzzola, autrice di “Foss’anche un romanzo”

Pubblicato lo scorso dicembre per i tipi di Città del Sole Edizioni, Foss’anche un romanzo rappresenta l’esordio letterario di Letizia Cuzzola. Un’opera autobiografica, dolorosa, di improvvisa caduta, lenta ricostruzione e quasi inaspettata rinascita, ché “un fiume che straripa porta distruzione ma anche nuova vita quando torna la quiete”. Abbiamo intervistato l’autrice.

Letizia Cuzzola, la tua è una scrittura diretta, senza giri di parole – a te assai indigesti –, ma non urlata, ché non ami chi alza la voce per sovrastare gli altri. Quello che ti piace è invece, come scrivi tu, “chi non ha paura di ammettere che ha paura”. Dunque, hai avuto paura di pubblicare e dunque offrire agli altri – inevitabilmente anche al loro giudizio – la tua storia?

«Non è stato semplice, ma è stato necessario nel momento in cui ho compreso che la mia storia era quella di molti e che, a loro differenza, ho avuto un’arma in più per affrontare e vincere il dolore. Non potevo tenerla soltanto per me, volevo che la mia esperienza fosse utile ad altri

 

“Sono nata in un obitorio mentre chiudevo gli occhi di mia madre.” Una frase estremamente forte, che picchia dritta allo stomaco; forte come la tua storia. Vuoi raccontarci qualcosa di quei momenti di rabbia, impotenza e rinascita?

«Ho perso mia madre nell’estate 2020, poco dopo la fine del lockdown, e le norme anticontagio non mi hanno permesso non solo di starle accanto mentre era ricoverata in ospedale, ma addirittura di poterla sentire e vedere per due mesi circa, fino al momento in cui l’ho ritrovata in obitorio. La rabbia è stata inevitabile, in quei mesi è stata la forza che mi ha spinto a fare il possibile e l’impossibile pur senza grandi risultati. Dopo, è stata la spinta per rinascere, capire che non potevo seppellire anche me ma dovevo continuare a vivere, volente o nolente, e dovevo farlo nel migliore dei modi possibili.»

 

Il tuo è un romanzo doloroso: “Non siamo fatti per resistere a tutto” scrivi, ed è vero; spesso fingiamo di essere indistruttibili, ma le crepe sulla nostra corazza emergono, si moltiplicano e si allargano anche se noi proviamo a nasconderle. Sapere d’essere frangibile è una consapevolezza che oggi ritieni utile per affrontare le difficoltà della vita?

«Assolutamente sì. Se un pizzico di incoscienza aiuta, è vero anche che sapere di avere dei limiti è utile a riconoscere quando non è il caso andare oltre. Ciò non toglie che si possa vivere una vita a mille ma con un maggior senso di autoprotezione: ho imparato a dire di no, a non fare più quel che non ho voglia di fare evitandomi così malesseri successivi, ad allontanare le presenze tossiche. Cerco di godere di ogni momento, di ogni giornata sapendo che la vita può cambiare da un momento all’altro e questo è uno sprone. Gli attacchi di panico sono stati un ostacolo, oggi sono una sfida: mi bloccano sul momento ma riesco a realizzare che è soltanto un momento e che ci può stare.»

 

Come reagisce oggi Letizia Cuzzola a questa frase: “Càlati juncu ca passa la china”?

«L’ho tatuata addosso poco dopo aver compreso che la tempesta era passata e ne ero uscita con la schiena dritta. Oggi so che è un insegnamento sempre valido: le piene passano, bisogna aver pazienza, piegarsi agli eventi ma tenendo ben presente che la testa va rialzata sempre e senza dimenticare l’esperienza: un fiume che straripa porta distruzione ma anche nuova vita quando torna la quiete

 

“A domani o Ti aspetto a casa è quanto di più bello si possa dire a qualcuno.” La speranza di una nuova splendida alba non ti ha mai abbandonata. Ti sei rialzata, hai ricostruito, sei ripartita da quello che restava. Cosa resta al termine di un’esperienza come la tua? E quale insegnamento, se vogliamo dire così, può ricavarne il lettore?

«A tu per tu con me stessa ho avuto modo di conoscermi, ho scoperto aspetti del mio carattere che neanche immaginavo. Resta un amore illimitato per la vita, uno sguardo più attento su tutto ciò che mi circonda: quando hai la possibilità di ricostruire una vita con l’esperienza di una precedente percepisci tutto in maniera differente, è come se il mondo si amplificasse. Il libro si conclude con due elenchi: quel che ho imparato nei 365 giorni che mi sono data per ricostruirmi e quello che è diventato una sorta di decalogo ampliato di “direttive” per vivere a pieno; l’augurio è che il lettore possa trarne spunto e vigore per risvegliare la forza di volontà, l’unico motore reale che aiuta ad alzarsi al mattino con il sorriso anche quando manca la voglia.»

Antonio Pagliuso