Recensioni: “Breve storia del romanzo poliziesco” di Leonardo Sciascia

Breve storia del romanzo poliziesco è un saggio tratto da un paio di articoli che Leonardo Sciascia (1921-1989) pubblicò nel settembre 1975 sul settimanale Epoca. Graphe.it lo ridà alle stampe con una accurata introduzione di Eleonora Carta.

In Breve storia del romanzo poliziesco Leonardo Sciascia celebra il giallo, sua grande passione fin dall’adolescenza, muovendosi per “riabilitare” l’immagine di un “genere” sovente additato come una letteratura di serie inferiore, una sorta di “sottoprodotto culturale”. Una visione distorta che ancora oggi presenta degli strascichi.  

“Appare evidente, dalle sue parole, infatti, come la lettura di libri polizieschi fosse considerata tra gli uomini di cultura poco più di un vizio, qualcosa di cui andare poco fieri” riflette Eleonora Carta, scrittrice ed esperta di letteratura gialla, nell’introduzione che dà ulteriore lustro all’edizione di Graphe.it.

Il profeta Daniele, il primo vero detective della storia

Tra le pagine del librino, lo scrittore di Racalmuto delinea due macro categorie di investigatori: quelli classici del giallo cosiddetto intellettuale e quelli violenti e dissoluti del giallo d’azione, all’americana. L’autore del Giorno della civetta viviseziona il personaggio del detective, elemento quasi irrinunciabile di ogni buon romanzo giallo: analizza il suo essere incorruttibile, infallibile, sempre un passo avanti rispetto anche allo stesso autore. Lo scrittore, tracciando i profili di alcuni celebri investigatori letterari – da Sherlock Holmes a Nero Wolfe, da Philo Vance a Hercule Poirot –, ne identifica anche una origine, risalendo nientedimeno che a Daniele, il profeta dell’Antico Testamento, che coi suoi acume e coraggio scagionò Susanna dall’accusa di concubinaggio riversatale dai vecchioni che avevano tentato di approfittare di lei.

“Decisamente, Daniele è il primo investigatore della storia […] Tutti gli investigatori che sono venuti dopo, nella vera e propria letteratura poliziesca dalla metà del secolo scorso ad oggi, dal cavaliere Carlo Augusto Dupin di Edgar Poe all’avvocato Perry Mason di Erle Stanley Gardner, discendono da Daniele.”

Nella sua intrigante presentazione, Eleonora Carta pone un interrogativo che noi riportiamo come assunto: con quest’opera e coi suoi romanzi Leonardo Sciascia ha provato a sovvertire le rigide regole che caratterizzano questo tipo di narrativa; le ha scomposte, le ha sovvertite, facendo sì che il giallo potesse diventare uno “strumento d’elezione per raccontare una società”, i suoi vizi, le sue virtù.

Il giallo in Italia è possibile?

Una società come quella italiana in cui trovare una “soluzione ufficiale” a un crimine è impresa assai dura; dove gli eroi si trovano spesso impantanati in un contesto indecifrabile e più grande di loro – come accade al capitano Bellodi del già citato Il giorno della civetta o al commissario Ingravallo di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, per Sciascia “il giallo più assoluto che sia mai stato scritto, un giallo senza soluzione” – e a emergere dalla fanghiglia, alla fine, è l’amarezza di una giustizia negata, un aspetto cui il grande scrittore siciliano, col suo giallo intellettuale e sociale, ha voluto dare risalto.

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Nei suoi romanzi Leonardo Sciascia “ci scuote dal nostro comodo torpore” afferma Carta; “non si tratta più di risolvere un enigma, ma di contrastare una cultura, un sistema sociale, in uno sforzo votato già in partenza al fallimento”.

Sì perché l’idea di giallo per Sciascia non era quella di accompagnare comodamente il lettore nel cammino – poco più che una passeggiata – volto a incastrare l’autore del delitto, ma di insinuare in esso “inquietudine e stimolare il pensiero critico”.

Antonio Pagliuso