Recensioni: “Storie di guappi e femminielli” di Monica Florio

In Storie di guappi e femminielli (Guida Editore) Monica Florio dà dignità a due figure stereotipate ma tutt’altro che marginali di una città, Napoli, variopinta, capace di mescolare la sua straordinaria accoglienza alla spietatezza dei rioni, e in cui talvolta è necessario compromettersi per sopravvivere.

Chi sono i guappi? Chi sono i femminielli? Anzitutto entrambi, seppure appartenenti, all’apparenza, a due emisferi contrapposti, rientrano in quel corollario di figurine napoletane che, sì, si attiene a un immaginario collettivo spesso alterato e macchiato da antichi ma solidi stereotipi per via di narrazioni provenute sovente, in maniera approssimativa, da realtà altre, ma che hanno segnato e continuano a segnare il tessuto sociale e il costume di una città laboriosa, ingegnosa, cosmopolita, variegata, contraddittoria, duplice e incantevole.

Il guappo e il femminiello nella storia

Nel teatro della città di Napoli, delle origini e del presente, il guappo, erede del compagnone di boccacciana memoria e ancor di più del gamurro della Spagna medievale, incarna perfettamente il coraggio, eroico, violento e oltre le regole di un mondo cui non si sente mai di appartenere appieno – anche se ben distante dalla figura del camorrista –, di una terra dura in cui se non si è forti, o ci si mostra tali, si finisce per soccombere. Quale è la sua funzione? Furbo, freddo e opportunista nonostante appaia interessato al bene della collettività, il guappo è chiamato a risolvere i dissapori tra famiglie e tra amanti, godendo di un’autorità che non può essere messa in discussione.

Dall’altra parte, o meglio dal verso opposto della stessa medaglia, il femminiello, uomo che negli abiti e negli atteggiamenti – ma non nel fisico, ché il femminiello non rinuncia al corpo che gli ha donato la natura – rispecchia le caratteristiche dell’altro sesso; “anello di congiunzione tra il maschile e il femminile”, tra sacro e profano, rappresenta il lato nascosto, fragile, sofferente di una città che mescola la sua accoglienza alla spietatezza delle borgate. Il femminiello non è mai percepito come un pericolo, ma anzi è visto un soggetto di cui fidarsi, cui rivolgersi per informazioni.

Accolti con imprevedibile, soltanto a uno sguardo disattento, tolleranza dal popolo, i femminielli, la cui ricognizione non può che sfociare anche nel mito, nel mondo classico – il terzo sesso di cui parlava anche Platone –, per lungo tempo sono stati relegati a ruoli marginali nella società – l’unico mestiere praticabile, di fatto, era connesso alla prostituzione –, ma non di rado sono stati coinvolti anche negli affari dei clan e per la loro affidabilità  di cui sopra e per la necessità di questi di non perdere il privilegio della protezione.

Minoranze? Mera espressione di una sottocultura folklorica? Nient’affatto, e il saggio della giornalista Monica Florio dal titolo Storie di guappi e femminielli (Guida Editore) concorre a dare dignità a queste figure tutt’altro che marginali e che contribuiscono a sfumare l’immagine variopinta di Napoli al di fuori dei confini regionali e nazionali.

I guappi e i femminielli di Monica Florio

Tra le pagine del suo lavoro, Monica Florio riporta tutti i riti, le cerimonie e le precise condotte che riguardano i due tipi, entrambi impegnati nella rinnovata sfida di chi non vuole lasciarsi risucchiare, anonimizzare dal rione: l’abbigliamento sgargiante, lo sposalizio tra maschi, la figliata, la tammurriata, lo sfregio e altre usanze più o meno violente o spinte volte a sancirne l’integrazione e a dimostrarne il valore e la credibilità nel contesto sociale. Personaggi che si muovono nei vicoli, nei bassi, con le loro regole, la loro economia sempre al confine con l’illegalità, i loro vizi, uniti a una eccezionale solidarietà popolare sorretta da un sentimento misto di paura e rispetto.

Cronaca, teatro e letteratura

In Storie di guappi e femminielli Florio analizza “due figure che incarnano le differenti anime di Napoli”; il volume è un’opera antropologica che attinge a piene mani dalla storia, dalla cronaca più recente (si ricordano alcuni casi celebri come quello di Pupetta Maresca, la prima donna camorrista, famosa per avere vendicato personalmente – era il ’56 – l’uccisione del marito), dal cinema (per i più giovani ricordiamo Bambinella, il femminiello della serie Il commissario Ricciardi, tratta dai romanzi di Maurizio de Giovanni), oppure dal teatro (su tutti citiamo l’indimenticabile Eduardo de Filippo nei panni del guappo Antonio Barracano ne Il sindaco del rione Sanità), o ancora dalla letteratura, perlopiù locale, aneddotica.

Nel libro Monica Florio, già autrice anni fa di un altro scritto simile, Il guappo nella storia, nell’arte, nel costume, e di altri lavori incentrati sul disagio dei giovani nella società odierna, restituisce una visione completa e contemporanea del microcosmo napoletano, utile a sfatare triti e ritriti stereotipi, valicando errate credenze circoscritte a un universo esclusivamente delinquenziale e osservando un fenomeno antico non con la propria cultura come unità di misura, ma immergendosi nel contesto del tempo, utilizzando strumenti coevi al fine di delineare una immagine quanto più onesta e fedele possibile.

Antonio Pagliuso