Fëdor Dostoevskij, l’infinità di un pensiero

Duecento anni fa, l’11 novembre 1821, nasceva a Mosca Fëdor Dostoevskij. Una vita segnata da ambasce, un’opera ineguagliabile e un dono (che avremmo potuto perdere) di cui essere grati.

Come sarebbe andata se questo o quell’altro evento non fosse accaduto? Una domanda che tutti ci siamo posti svariate volte nella vita, riferendoci agli argomenti e accadimenti più svariati. Si tratta di una ucronia, il libero fantasticare su un evento se i fatti fossero andati all’opposto rispetto alla realtà. Come sarebbe andata se al referendum del ’46 avesse vinto la monarchia? Come sarebbe stato il mondo se Hitler avesse conquistato anche la Gran Bretagna?

Pensando a Fëdor Dostoevskij e riflettendo sulla sua vicenda umana ancor prima che letteraria e culturale, non si può, quindi, evitare di porsi il seguente quesito: come sarebbe stato il nostro pensiero se quel 22 dicembre 1849 il giovane Dostoevskij, appena ventottenne, fosse stato fucilato in pubblica piazza, come era stato deciso per lui, a causa della sua partecipazione ad attività eversive, dallo zar Nicola I prima che il sovrano decidesse di commutare la pena, a lui e ad altri venti condannati, in lavori forzati in Siberia?

Fëdor Dostoevskij, il nuovo Gogol’

Sicuramente parleremmo di un talentuosissimo autore morto giovanissimo a causa di un’accusa poco fondata – e ci concentreremmo anzitutto sull’analisi di questa; poi, con tutta l’incertezza dovuta, ci chiederemmo chissà quanto avrebbe potuto ancora dare alla letteratura mondiale quel talento spezzato. Sì, perché nel 1849 quello di Dostoevskij era già un nome che circolava nei salottini pietroburghesi; il giovane era infatti autore di romanzi apprezzati dalla critica come Povera gente, Il sosia e Le notti bianche, uno scrittore paragonato nientepopodimeno che a Nikolaj Gogol’.

Oggi avremmo potuto ricordare il bicentenario della nascita soltanto di una bella – bellissima – speranza della grande letteratura russa, e invece no perché Fëdor Dostoevskij – il nuovo Gogol’, come fu definito dal poeta Nikolaj Nekrasov, sconvolto dalla lettura di Povera gente, il primo romanzo di Dostoevskij pubblicato nel 1846 sulla rivista “Almanacco pietroburghese” – riuscì a salvare la pelle in quella terrificante farsa allestita dal sadico Nicola Romanov e diventò uno dei più grandi romanzieri e pensatori della letteratura mondiale, un autore che non smette di ispirare generazioni di narratori e far sognare milioni e milioni di lettori del globo terracqueo.

Una vita complicata, un’opera ineguagliabile

Quella di Fëdor Dostoevskij, nato a Mosca proprio l’11 novembre 1821, duecento anni fa (il calendario giuliano, in vigore a quei tempi in Russia, segnava il 30 ottobre), è stata una vita tutt’altro che lineare, spesso in fuga, prima dai suoi creditori, poi dai suoi stessi demoni; un animo inquieto immerso in una vita senza pace che fruttò formidabili romanzi quali Delitto e castigo, Memorie dal sottosuolo, L’idiota e I fratelli Karamazov.

Una vita sconvolta dai fallimenti economici, dalla malattia del gioco, dagli attacchi epilettici, acutizzatisi dopo i fatti del ’49 e che lo accompagneranno fino alla fine dei suoi giorni, che Dostoevskij sublimò con la sua ineguagliabile arte di scrivere, la sua capacità di sondare e analizzare le debolezze umane.

I fratelli Karamazov, il canto del cigno di Dostoevskij

Perché è Dostoevskij che nel 1866, disperato per la sua miseranda condizione economica e sentimentale, riesce a stravolgere il concetto di romanzo con la pubblicazione di Delitto e castigo; perché è Dostoevskij che riemergendo dagli abissi, anche e soprattutto grazie al supporto vitale della seconda e ultima moglie, la stenografa Anna Grigor’evna Dostoevskaja (nata Snitkina), riesce a divenire una icona della Letteratura già in vita e a chiudere il proprio ciclo artistico con il monumentale I fratelli Karamazov, il suo canto del cigno, prima di consegnarsi alla leggenda esalando l’ultimo respiro il 9 febbraio 1881 (28 gennaio secondo il calendario giuliano).

Come sarebbe andata, come saremmo noi se lo zar Nicola I non avesse revocato la pena capitale, se non ci fosse stato un Dostoevskij a illuminare la storia della Letteratura e le nostre menti? Che l’umanità abbia deciso di procedere per un senso anziché per un altro quel 22 dicembre 1849?

“A chi sa di dover morire, gli ultimi cinque minuti di vita sembrano interminabili, una ricchezza enorme. In quel momento nulla è più penoso del pensiero incessante: ‘se potessi non morire, se potessi far tornare indietro la vita, quale infinità! E tutto questo sarebbe mio! Io allora trasformerei ogni minuto in un secolo intero, non perderei nulla, terrei conto di ogni minuto, non ne sprecherei nessuno!’.”

Antonio Pagliuso

Foto di Nikolay Karazin di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Foto ritratto del 1872 di Vasilij Perov (Galleria Tret’jakov, Mosca) di pubblico dominio condivisa via Wikipedia