Cesare Pavese e l’esperienza del confino in Calabria

Il 4 agosto del 1935 Cesare Pavese fu spedito in confino in Calabria, a Brancaleone Calabro. Un’esperienza che ne segnerà la vita artistica e privata.

È il 4 agosto 1935, il pomeriggio di un’altra rovente domenica d’estate. Un treno si avvicina lento alla stazioncina di Brancaleone Calabro, estrema punta meridionale della Calabria.

Dalla littorina scende appena una manciata di persone; una di queste viene raggiunta immediatamente da due uomini in divisa e condotta, manette ai polsi, alla vicina stazione dei carabinieri. Quella persona è Cesare Pavese ed è appena cominciato il suo confino in Calabria.

L’arresto di Cesare Pavese, il contesto storico

In quell’estate del 1935 Pavese ha 26 anni (è nato il 9 settembre 1908) ed è stato arrestato per attività antifascista. In quegli anni ha cominciato a insegnare in alcune scuole private – non può partecipare ad alcun concorso perché non iscritto al partito fascista – e svolge traduzioni dall’inglese – sua la celebre traduzione di Moby Dick di Herman Melville.

Attività antifascista; ma in sostanza, perché è stato arrestato il giovane scrittore? Potremmo dire per la sua bontà d’animo e per il cieco amore verso una donna.

Nel 1934 il giovane Pavese, intento a comporre la sua prima raccolta di poesie pubblicata due anni dopo col titolo Lavorare stanca, si avvicina al gruppo di intellettuali antifascisti di Giustizia e Libertà, di cui fanno parte gli amici Leone e Natalia Ginzburg, e comincia a collaborare con la appena nata casa editrice di Giulio Einaudi.

In quel periodo conosce anche una donna di cui si innamora: è Tina Pizzardo, la “donna dalla voce rauca” delle sue lettere. La donna è una militante comunista e intrattiene una corrispondenza con Altiero Spinelli, già detenuto per motivi politici. La Pizzardo è conscia del rischio che corre, forse un po’ meno Cesare Pavese, il suo spasimante, che, accecato dalla venerazione, le propone di conservare in casa sua quell’epistolario clandestino. Una decisione infausta, sicché nella primavera del ’35 scattano le manette per molti esponenti di Giustizia e Libertà. In casa di Pavese vengono trovate quelle lettere; lui tace e per amore si addossa tutta la responsabilità.

I sette mesi di Cesare Pavese in Calabria

Il futuro grande scrittore si trova in carcere prima a Torino e poi a Roma; infine è condannato a tre anni di confino in Calabria, a Brancaleone Calabro. Alla fine saranno sette i mesi che Pavese trascorrerà in quell’angolo remoto, incontaminato e ignoto del Regno d’Italia, ma sarà un tempo bastevole per segnarne l’esistenza e l’opera.

Lontano dalle sue Langhe, dall’amata collina, dai suoi luoghi fantastici, Cesare Pavese si trova confinato in una casetta al pianterreno, con un piccolo orticello, alberi di limone e a pochi passi dalla ferrovia e dallo Ionio, quel mare verso cui nutre un contrastante sentimento di odio e amore, la “quarta parete della sua prigione”.

“Io non sto in albergo, ma in una cameretta mobiliata piena di scarafaggi e che quando piove (l’inverno sarà tutto pioggia) si allaga come una barca. Inoltre, Capo Spartivento, spartisce davvero il vento e stanotte è il finimondo…”

I rapporti di Cesare Pavese con la popolazione locale non saranno eccellenti, limitati al rispetto reciproco, ai sorrisi mescolati alla diffidenza reciproca. La natura selvaggia di Brancaleone, invece, sarà illuminante per la sua opera letteraria: nel paesino ionico, il “professore”, come veniva chiamato dai brancaleonesi, inizierà il suo diario – pubblicato poi col titolo Il Mestiere di vivere e che lo accompagnerà fino a pochi giorni dal suicidio, nell’agosto del 1950. Sulle sponde del mare prenderà anche gli appunti che confluiranno ne Il carcere, il romanzo che più racconta dei suoi mesi di confino.

Il carcere, esperienza e romanzo

Protagonista del Carcere, scritto tra il ‘38 e il ‘39 e pubblicato solo dieci anni dopo, è Stefano, un professionista confinato in una non meglio identificata località marinara del Mezzogiorno.

Gli unici veri rapporti che il protagonista della storia, alter ego di Pavese, intrattiene sono con Elena, figlia della popolana che gli ha fittato la dimora, un amore di necessità, e con la misteriosa Concia, serva presso un’altra famiglia, della quale Stefano/Cesare si invaghisce per il suo aspetto selvatico.

“La sua fantasia diede un balzo quando vide, un mattino, su quella scaletta una certa ragazza. L’aveva veduta girare in paese – la sola – con un passo scattante e contenuto, quasi una danza impertinente, levando erta sui fianchi il viso bruno e caprigno con una sicurezza ch’era un sorriso.”

Come il suo autore, Stefano è un personaggio che tentenna, non sa come schierarsi, e intanto attende la fine della sua pena nel silenzio, senza ribellarsi e conscio, in sé, della sua colpa.

Il carcere, pubblicato insieme a La casa in collina nel dittico che prende il titolo di Prima che il gallo canti, citazione evangelica, rappresenta una lettura fondamentale per capire lo stato d’animo dello scrittore sradicato dalla sua terra e per figurarsi la realtà che lo circondava.

“Le catapecchie, le rocce del poggio, le siepi carnose, ridiventavano una tana di gente sordida, di occhiate guardinghe, di sorrisi ostili. Si allontanava dal paese per lo stradale che usciva, in mezzo a qualche ulivo, sui campi che orlavano il mare. Si allontanava, intento, sperando che il tempo passasse, che qualcosa accadesse.”

Il ritorno a casa

Il confino di Cesare Pavese in Calabria termina il 15 marzo 1936; la restante parte della pena è condonata. Tina Pizzardo, la donna che ha protetto, non gli ha scritto mai in quei lunghi mesi, ma Pavese conserva ancora la folle speranza che una volta ritornato a Torino ci sia lei ad attenderlo. Chiaramente non sarà così: la donna si è sposata e per lo scrittore è un colpo durissimo, un ritorno atroce più del confino appena traversato.

Gli anni successivi saranno segnati da grandi successi letterari – Paesi tuoi, Dialoghi con Leucò e La luna e i falò, per citarne soltanto tre – e altre cocenti delusioni amorose – l’ultima quella per l’attrice americana Constance Dowling.

dimora a Brancaleone Cesare Pavese e l’esperienza del confino in Calabria
(Foto: Antonio Pagliuso)

La morte e il ricordo di Brancaleone

Cesare Pavese si toglierà la vita nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1950, nella camera numero 43 (o 346, dipende se si considera la numerazione del tempo o di oggi) dell’Albergo Roma di Torino. Il corpo dello scrittore – appena insignito del prestigioso Premio Strega per La bella estate – sarà ritrovato la mattina successiva. Sul comodino, accanto alle bustine di sonnifero usate per uccidersi, una copia dei Dialoghi con Leucò, su cui Pavese lascia l’ultimo messaggio:

Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.

L’esperienza del confino a Brancaleone Calabro è raccontata in immagini nel lungometraggio Prima che il gallo canti del 1992, con la regia di Mario Foglietti.

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A Brancaleone è possibile visitare la dimora del confino di Cesare Pavese in Calabria, grazie alla Pro loco del paese. La stanza è tappezzata da immagini, lettere e libri dello scrittore ed è arredata in maniera conforme al periodo nel quale era abitata dall’illustre ospite.

Antonio Pagliuso