“In viaggio con Dante. Tre percorsi nei luoghi della Divina Commedia” ci porta nella basilica di San Zeno, dal XVIII canto del Purgatorio.Foto di Tony Hisgett condivisa via Wikipedia con licenza CC BY 2.0

Siamo giunti all’ultima tappa dell’iniziativa “In viaggio con Dante. Tre percorsi nei luoghi della Divina Commedia”, inserita nel vasto cartellone nazionale dell’undicesima edizione de “Il Maggio dei Libri”.

Il cammino tortuoso all’interno della Commedia ci conduce oggi in un posto particolare. Non è tra i più celebri dell’opera, ma certamente uno tra i più suggestivi. Si tratta della basilica di San Zeno, luogo citato nel XVIII canto del Purgatorio.

È la notte tra l’undici e il dodici aprile del 1300. Dante e Virgilio si trovano nella quarta cornice del Purgatorio. In questo luogo brulicante d’anime, dopo un’accesa discussione sulla natura dell’amore e sulla ragione che consente all’uomo di scindere il bene dal male, i due peregrini provano ad addormentarsi.

Dante e i suoi dubbi sull’amore

La notte avanza incalzante, il buio è pesto e il silenzio s’appresta. Dante è colmo delle spiegazioni di Virgilio. Alla sua guida il sommo poeta ha infatti chiesto di chiarirgli la natura dell’amore. Non è forse da questo sentimento che scaturiscono sia le virtù che i vizi degli uomini? Quei vizi che loro malgrado stanno scoprendo, uno a uno, lungo il cammino tra Inferno e Purgatorio. Il chiarimento di Virgilio non lascia spazio a ulteriori dubbi. Egli sostiene che l’amore è ciò che spinge l’anima a perseguire quanto più le piace. In sostanza, l’amore è sempre spinto da buone intenzioni. Tuttavia i mezzi per perseguire quel fine non sempre sono buoni.

Dante Accidiosi
Illustrazione di Gustave Doré di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Per quanto cristallino, questo ragionamento conduce Dante a un nuovo assillo. Se l’amore porta l’uomo a perseguire un oggetto esterno, fuori da sé, allora egli non avrà alcuna responsabilità delle azioni che compie per raggiungerlo. Siano esse oneste o no. A sua volta Virgilio precisa che, sebbene l’amore sgorghi da una necessità, è sempre la ragione ad avere la meglio e a guidare l’uomo nelle sue scelte. In definitiva, la ragione porta l’uomo ad agire bene o ad agire male.

Mosso dalla stanchezza, ma ancora affascinato dalle parole di Virgilio, Dante viene scosso da un gruppo di anime affaccendate. Esse corrono senza sosta lungo tutta la cornice; narrano gridando gesta di sollecitudine esaltata e di accidia punita. Sono appunto gli accidiosi: in vita coltivarono la pigrizia, per contrasto la loro punizione è una corsa senza sosta.

L’accidioso e l’abate immeritevole

Dall’incontro con una di queste anime accidiose si apre lo squarcio sulla basilica di San Zeno. Capita infatti che Virgilio decida di fermare un’anima chiedendole dove si trovi la scala che conduce alla cornice successiva.

“Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,

che restar non potem; però perdona,

se villania nostra giustizia tieni”.

 

Si scusa così l’anima in pena, poi continua presentandosi e raccontando il suo passato e il suo destino:

“Io fui abate in San Zeno a Verona

sotto lo ‘mperio del buon Barbarossa,

di cui dolente ancor Milan ragiona.

E tale ha già l’un piè dentro la fossa,

che tosto piangerà quel monastero,

e tristo fia d’avere avuta possa;

perché suo figlio, mal del corpo intero,

e de la mente peggio, e che mal nacque,

ha posto in loco di suo pastor vero”.

Quest’uomo che corre e non ha pace fu abate di San Zeno. È probabile che si chiamasse Gherardo. La sua rabbia è tanta e non la nasconde. Egli si scaglia contro un potente signore dell’epoca in punto di morte, tale Alberto della Scala. Questi aveva imposto la nomina di suo figlio Giuseppe come abate di San Zeno. Un figlio illegittimo, incapace nel fisico e nell’anima. Così lo descrive l’accidioso.

La Basilica di San Zeno: storia e suggestione

Un favoritismo per nulla meritocratico, a testimonianza del fatto che su certi aspetti il 1300 non era tanto diverso dal 2021. Lo scenario della disputa è comunque tra i più affascinanti e densi di storia. La basilica di San Zeno è infatti annoverata tra le costruzioni più antiche di Verona. San Zeno fu l’ottavo vescovo della città; di origini africane, a lui si deve la conversione al cristianesimo di una larga parte della popolazione veneta. Tant’è che il cuore della basilica risiede proprio in una piccola chiesa eretta per volontà di Teodorico il Grande accanto al sepolcro di San Zeno.

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Foto © José Luiz Bernardes Ribeiro condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 4.0

La chiesetta riceveva ogni giorno le visite di migliaia di fedeli. Questi si radunavano per pregare e ben presto fu chiaro che il piccolo edificio non era in grado di accogliere tutti quei pellegrini. Pertanto nell’anno 806 venne completata la costruzione di una nuova chiesa voluta dal re dei Franchi, Pipino.

Nel maggio dell’anno successivo gli eremiti Benigno e Caro furono incaricati di traslarvi le reliquie di San Zeno. Il terremoto del 1117 distrusse la chiesa e i lavori di ricostruzione durarono fino al 1398, anno in cui fu ultimata la basilica che ancora oggi possiamo ammirare.

Allo sguardo del visitatore, che sia un fedele o un amante d’arte, non sfugge la pregnanza della gradazione cromatica. L’effetto è dovuto all’uso del tufo spesso alternato ai mattoni. Proprio per questo, tra le chiese romaniche presenti nel Belpaese, la Basilica di San Zeno è sicuramente una delle più attraenti.

Foto di Tony Hisgett condivisa via Wikipedia con licenza CC BY 2.0