Il commento di Pasolini su “Delitto e castigo” di Dostoevskij

Nel 1974, un anno prima della tragica morte, Pier Paolo Pasolini scrisse uno storico commento su Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, analizzandone i temi, i significati e i riferimenti. Oggi lo scritto è inserito nelle edizioni Oscar Mondadori del capolavoro dello scrittore russo.

Nelle scorse settimane si è ricordato il duecentesimo anniversario dalla nascita di Fëdor Dostoevskij. Il grande romanziere e pensatore russo nasceva a Mosca l’11 novembre 1821 e per tutto questo 2021 si sono succedute le iniziative, in Russia, in Europa e in Italia, da Nord a Sud, per ricordare uno dei maggiori scrittori della storia: incontri culturali, festival, pubblicazioni come la mastodontica raccolta di lettere dello scrittore a cura di Alice Farina edita da il Saggiatore. Il 2021 sta volgendo al termine e così si affievolirà anche il tema Dostoevskij, perlomeno per le realtà e i canali più “popolari”.

Dal 2021 di Dostoevskij al 2022 di Pasolini

Ogni anno porta con sé nuovi anniversari e ricorrenze, perciò ci chiediamo: quale sarà il tema di tendenza del prossimo anno? La previsione è oltremodo facile: almeno per quel che riguarda l’Italia, nel 2022 il dibattito culturale sarà senza dubbio cannibalizzato da Pier Paolo Pasolini. Sì, è vero, dov’è la novità; di Pasolini, infatti, si parla sempre, i rimandi al suo pensiero sono costanti in tv e sui giornali, tanto attuale e per certi versi profetico fu. Il 2022, dicevamo, coinciderà anche con il centenario dalla nascita di Pier Paolo Pasolini – nato a Bologna il 5 marzo 1922 – e c’è da credere che le pubblicazioni, le rassegne e gli incontri letterari, teatrali e cinematografici dedicati al grande artista e intellettuale – dire scrittore sarebbe assai riduttivo – saranno una marea, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia.

Dostoevskij e Pasolini, due grandi maestri del pensiero e della letteratura, legati dalla loro arte e da queste ricorrenze contigue, ma anche da uno scritto che P.P.P. realizzò circa una delle opere più famose e amate del romanziere russo: Delitto e castigo.

Tradotto in ogni lingua attuale, passata e futura del mondo, Delitto e castigo è di certo il romanzo più conosciuto di Fëdor Dostoevskij – non ce ne vogliano I fratelli Karamazov, in particolare Dmitrij… – e una delle opere che più hanno influenzato la letteratura mondiale.

In esso, oltre all’analisi sul delitto commesso e sul senso della sofferenza come unica via per raggiungere la salvezza, sono condensate le ambasce di un giovane uomo solo, derelitto e senza presente – figurarsi avvenire –, di una civiltà senza punti di riferimento, terreni e celesti, di un mondo, anche nella arretrata Russia dell’Ottocento, che avverte già i primi chiari sintomi di quella corruzione dei costumi che esploderà dopo il Secondo dopoguerra. Argomenti in cui Pasolini era sempre tra i primi, e con autorevolezza, a inzuppare il pizzo.

Il commento di Pasolini a Delitto e castigo

Nel 1974, un anno prima della tragica e tuttora misteriosa morte, Pier Paolo Pasolini scrisse un commento su Delitto e castigo, riportato poi nel volume Descrizioni di descrizioni (P.P. Pasolini, Garzanti 1996) e nelle ultime edizioni Oscar edite da Mondadori del capolavoro di Dostoesvkij. Tra i righi dello scritto, Pasolini si concentrò sul protagonista principale dell’opera, il giovane Rodiòn Raskòl’nikov

Il commento di Pasolini su “Delitto e castigo” di Dostoevskij

Raskòl’nikov è colpito da una “passione infantile edipica”, bloccato da quell’amore sconfinato da parte della madre che Pasolini estende anche alla sorella; un tipo che risulta classico per l’intellettuale italiano. Il giovane non studia, non lavora, è traumatizzato, schiacciato dalla sua situazione senza sbocchi. Ha bisogno di un capro espiatorio e dentro sé dà la colpa al genere femminile – pur non ammettendolo –, pertanto è sessuofobico, una condizione che per Pasolini fa rima con sadismo. Raskòl’nikov odia le donne; talvolta, soltanto perché spinto dagli ormoni, prova verso qualcuna di loro – un paio di sventurate giovinette – uno strano interesse che però, come commenta Pasolini, non è mai di tipo sessuale, piuttosto di pena e che quindi si rivela una attrazione sadica, ché la pena “può essere umiliante fino al sadismo”. Il giovane subisce l’umiliazione di essere stato generato da una donna, l’essere odiato per il quale è impossibile ricambiare il tuo odio, ma che invece – in un confronto senza storia, annichilente – non fa altro che amarti, annegarti in fiumi d’amore.

“Aah! Per quante maligne femmine uno possa incontrare nella vita, la peggiore di tutte è la propria madre! […] delle altre femmine, uno può salvarsi, può scoraggiare il loro amore; ma dalla madre, chi ti salva?” E già, chi ti salva? Chi può salvarti da un soggetto che “non ama né la felicità, né la vita, né se stesso, ma soltanto te!” Parole tratte dall’Isola di Arturo di Elsa Morante e, a ben pensarci, seppur con le giuste proporzioni, Arturo può ricordarci Raskòl’nikov, con la sua repulsione verso il genere femminile, identificato con l’ideale della madre – conosciuta per il secondo, ignota per il primo –, e con la lotta contro quei sentimenti che, presto o tardi e in maniera confusa, affiorano anche nei cuori più algenti.

Il commento di Pasolini su “Delitto e castigo” di Dostoevskij
Foto di Nikolay Karazin di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Liberarsi del proprio complesso di inferiorità

La “perfida madre” di Delitto e castigo è la signora Pul’chèrija – Pulchra, ossia bellissima, come la Madonna –, donna mansueta e fragile, comprensiva ma repressiva e che tiene incatenato a sé il suo figliolo “adorato e unico”. Raskòl’nikov non può ribellarsi, deve “giocare il ruolo che gli è assegnato” e si lascia risucchiare nel gorgo che lo conduce dritto dritto all’obnubilamento delle facoltà intellettive e gli fa venire in mente un’idea, sconclusionata, inutile, quella di ammazzare una vecchia usuraia, una madre, “cui ha dato in pegno degli oggetti” – oggetti che appartengono alla sua famiglia, quindi alla madre. La madre, sempre e solo la madre, epicentro dei suoi pensieri e del suo essere, quella “madre che lo ossessiona con gli obblighi, che gli crea degli impegni, che lo umilia con la sua ansiosa comprensione, che lo mette di fronte alla propria impotenza”.

Riferimenti alla madre Pul’chèrija, ma anche alla sorella Avdot’ja, sostiene Pier Paolo Pasolini. Di fatti, nello svolgersi dell’azione omicida, l’inconscio di Raskòl’nikov fa in modo che Alëna, la vecchia usuraia destinataria della sua banale ira, sia raggiunta da Lizaveta, la sorella più giovane; così il ragazzo fa fuori entrambe, in un colpo solo: muoiono, sotto le sue mani, una madre e una sorella.

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Col suo gesto, continua P.P.P., Raskòl’nikov sopprime “quella «realtà doppia» che l’amore per la donna è per lui: da una parte la realtà repressiva, feroce, angosciosa (l’usuraia) e dall’altra la realtà tenera, affettuosa, mite (la sorella dell’usuraia)”. Il giovane si immagina ambizioso, ha bisogno di superare il suo “complesso di inferiorità” verso le donne e verso se stesso, ma con il sanguinoso duplice omicidio, però, non ottiene nulla, se non il manifestarsi, più limpido che mai, del suo “fallimento” e della sua “inferiorità”. Per giunta, a evidenziare la sua inettitudine, giunge puntuale l’arrivo in città di madre e sorella, come avessero intuito dell’impresa delittuosa dell’amato.

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Foto di pubblico dominio da Wikipedia

Raskòl’nikov, lamore il sadismo 

Raskòl’nikov è vittima delle sue donne, ma diventa carnefice di un’altra: è Sof’ja Marmeladova, Sonja. Pasolini sottolinea come, attraverso la ragazza, il personaggio di Dostoevskij scopra per la prima volta l’amore, ma non è capace a gestirlo, a manovrarlo, e ancor prima a riconoscerlo. Nonostante l’attività di Sonja lo possa in un certo senso agevolare – la giovine, per necessità, è diventata una prostituta –, l’amore di Raskòl’nikov per la donna è privo di riferimenti sessuali e si manifesta “attraverso il sadismo”, l’unica materia nota al giovanotto. Per incurabile sadismo, di fatti, Raskòl’nikov confessa all’amata il suo efferato delitto, quello che reputa una “sciocchezza” di poco conto, rendendola partecipe dei suoi demoni e principiando “a tormentarla in tutti i modi”. Lei, ragazza di vita, ma docile e ingenua si innamora dell’assassino, riaccendendo in lui, nuovamente, quell’odio “che gli aveva creato l’amore della madre”.

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L’ultima parte di Delitto e castigo è incentrata sul tema della resurrezione cui finalmente Raskòl’nikov si appresta a pervenire, così affrontato da Pier Paolo Pasolini: “Dopo la confessione del suo delitto e la sua condanna ai lavori forzati, il nostro eroe è seguito, come da una cagna fedele, dalla puttana che egli non ammette di amare, oppure manifesta il suo amore verso di lei attraverso la crudeltà”. Poi, di colpo, Pul’chèrija, la madre vera, l’unica e sola, muore e per Raskòl’nikov inizia il viaggio verso il cambiamento:

“Un dopopranzo, in una pausa di lavoro, sopra uno sterro, davanti a una grande pianura illuminata da un pallido e tiepido sole, dove, lontano, sono accampati dei nomadi, il nostro eroe sente di colpo di amare la ragazza che l’ha seguito: di amarla in modo completo, assoluto, così come non aveva potuto amare la madre da bambino. Era tanto semplice!”.

Pasolini concluse la sua disamina dicendo che con Delitto e castigo, Fëdor Dostoevskij ha prefigurato le teorie di Sigmund Freud e che avrebbe avuto piacere di documentare in un saggio più approfondito tutte le “impressioni «esplicitamente» psicanalitiche” del romanzo. Non ne ebbe il tempo.

Antonio Pagliuso

Foto di hafteh7 da Pixabay

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